Secolo d'Italia 18 ottobre
Siamo sicuri che questa legge sul testamento biologico sia buona, serva cioè a tutelare la vita come nell'intenzione del legislatore?
Capisco l'interesse che la faccenda del testamento biologico suscita. Credo però che sia un'attenzione tutta politica e ideologica, anch'essa simbolo dello stato dei rapporti – della guerra- tra poteri dello stato, scattata questa volta a causa dell'entrata a gamba tesa da parte della magistratura con la sentenza "Englaro". Ma è uno di quei casi di battaglie in cuui piccole e agguerrite avanguardie di opinione fortemente motivate, i fautori delle "decisioni anticipate", riescono a conquistare il palcoscenico della comunicazione grazie ad un'attenzione mediatica a causa della forza dello scandalo. Scandalo che ha portato a rompere il tabù, a decidere da parte della magistratura della vita e della morte di una persona senza rendersi conto della corsa a rotta di collo verso il rafforzamento della prigione in cui rinchiudere i cittadini, dell'aumento dell'invadenza dello stato nelle sfere più intime della persona, senza rendersi conto entrare in una zona dove deve vigere il silenzio, il sussurro, la pietà, non le grida sguaiate e il tifo da stadio. Sono stato direttore della sezione fiorentina della Lega per la Lotta contro i Tumori, consulente per anni di un'associazione impegnata nelle cure di fine vita e di un centro di prevenzione oncolologica e, purtroppo, la mia famiglia è stata duramente compita da questa malattia. L'esperienza, la letteratura scientifica, le storie di vita, mi fanno dire che la paura della morte è la paura di morire in solitudine e soffrendo! E allora il primo compito della collettività è di intervenire nel fine vita, come ha fatto giustamente il governo rendendo le cure palliative un diritto dei cittadini, ma non rompere la sacralità di una barriera.
Ora per riparare al disastro compiuto dai giudici, si chiede che il parlamento legiferi sul fine vita; l'argomento addotto dai sostenitori è forte, se la legge deve entrare in questo ambito, che siano allora gli eletti a decidere al posto di organi irresponsabili, meglio i responsabili davanti ai cittadini che un magistrato qualsiasi. Ma così facendo si passerebbe dall'errore di stato al disastro di stato!
Ogni persona è, prima di tutto, un essere sociale: la sua vita appartiene a sé, alla famiglia, agli amici, alle comunità in cui vive, anche allo stato quando chiede di prender le armi per difendere la patria. La vita di ognuno scorre tra la vita e la morte in un flusso di fatti, eventi e decisioni rispetto a questi momenti fondanti pieno di contraddizioni, incoerenze; decisioni prese, anche nel silenzio della propria coscienza, assieme agli altri familiari, amici, medici, assistenti, per chi crede, sacerdoti e adesso terapeutici vari. Non si vive in un vuoto di significati! Esiste una tradizione, un buon senso a cui rifarsi sempre. E' vero che sono, a quanto pare, messe in discussione e non sono più certe, ma il compito del legislatore è rafforzare questo patrimonio, non affossarlo definitivamente. Chiunque persona ragionevole sia passata per tragedie simili, arriva a sapere cosa deve fare. Quello che vogliono i partigiani del testamento biologico è proprio l'eliminazione della decisione, della responsabilità, anche della colpa ritenuta il male minore.
Rispetto della vita, rispetto delle volontà della persona non sono principi in contraddizione. E'solo un esercizio teorico della filosofia analitica discernere i casi uno ad uno, incrociando tutte le variabili, speculazione che poco ha a che fare con la realtà. La decisione su dove si trovi il limite, sulla valutazione dell'inutilità del dolore rispetto ad una vita degna di essere vissuta, su dove sia insomma la soglia della vita non può essere stabilito per legge. Se una legge ha da essere, mi sembra che ribadire due principi - rispetto della vita, no alla eutanasia, no al dolore inutile e quindi no all'accanimento terapeutico – sarebbe molto meglio che un elenco di tecniche ammesse o proibite.
Se esiste una zona dove né la scienza né lo stato hanno diritto di dire qualcosa, è il passaggio tra la vita e la morte. E' poco credibile l'idea che ci sia una legge che stabilisce cosa sia e cosa non sia "accanimento terapeutico" e quali strumenti possano essere usati e quali no, perché cambia la tecnica, cambiano le condizioni oggettive e soggettive, cambia la mentalità. Il risultato dovrebbe essere una legge che dovrebbe essere rivista ogni poco, con il rischio di affidare queste leggi a volontà politiche del momento.
Ora mi sembra quindi che questa proposta di legge cada in una profonda contraddizione. O non si legifera sulla vita e sulla morte – soluzione ottimale. O si legifera, ma lasciando nel vago della indeterminazione biologico antropologica il passaggio dai due momenti – soluzione di compromesso politico accettabile, vista la nostra splendida magistratura. O si legifera ma si lascia all'individuo decidere a quali cure si vuole sottoporre – soluzione che mi trova assolutamente contrario a cui conduce la logica del testamento biologico. Oppure, ecco la quarta possibilità – quella scelta dal legislatore italiano - la strada peggiore, irta di contraddizioni, che condurrà ad una miriade di ricorsi, perché su questo terreno si scontrano tra loro principi diversi ugualmente forti quali autodeterminazione, dovere della cura, volontà del legislatore;qui, invece, la volontà del cittadino, rispetto ad alcuni atti come l'idratazione, non conterebbe praticamente nulla. Non solo, scegliendo la via giuridica così precisa, si rompe il tabù del rapporto legge positiva-vita: d'ora in poi la definizione di cosa sia una vita dignitosa, la "vita buona", è in mano a maggioranze parlamentari! Bestiale.
Capisco che nel momento, davanti all'invadenza della magistratura, che è andata a inventarsi una presunta precedente volontà della paziente, davanti alla scelta tutta politica del padre di Eluana Englaro dettata dalla decisione, per me incomprensibile, di dare pubblicità e, quindi cercare lo scandalo, alla morte della figlia, si sia scelta la strada del Parlamento secondo il principio, "meglio la volontà dei rappresentanti dei cittadini, che quella dei magistrati".
L'idea di "testamento biologico" appartiene ad una cultura strampalata – post moderna?- che unisce e centrifuga individualismo assoluto di stampo illuministico positivista con una idolatria statalista totalitaria, come se lo stato fosse un ente superiore che può più dell'individuo, perché tutto vede e capisce (idea totalitaria, peregrina e ridicola; in democrazia, stato vuol dire solo affidarsi ai voleri della maggioranza).
La cultura sottostante è il risultato di forze che il processo di secolarizzazione ha liberato dalle catene. Il mito dell'autodeterminazione dell'individuo che crede di poter far tutto e su tutto decidere, la medicalizzazione della vita da parte di una medicina ridotta a tecnica, l'invadenza dello stato che penetra in tutti i pori della vita privata, al di là della volontà del legislatore. E la contraddizione è evidente: tanto più l'individuo si crede libero da vincoli sociali, tanto più si getta in mano di decisori esterni e impersonali: tecnica e Leviatano. L'abolizione, per legge e scienza, della responsabilità individuale.
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