sabato 13 marzo 2010

Appuntamento internazionale

Iniziamo con qualcosa saputo e risaputo ma che cozza contro un muro di indifferenza veramente incredibile e disgustoso. Il massacro dei cristiani nel mondo. Ecco a partire dagli ultimi massacri in Nigeria, un video che mostra tutto lo strazio di questa barbarie


 

Foreign Policy Initiative fa un bel regalo a chiunque interessato a capire qualcosa sull'andamento del mondo, dei conflitti in corso e della politica estera americana. Una raccolta di articoli (più di 300 pagine!) dei maggiori studiosi usciti dal 2009. Al di là delle singole aeree d'interesse, si consiglia di dare un'occhiata per lo meno alla prima parte che dà l'impronta alla raccolta, si inizia con un'analisi redazionale sulla politica estera del presidente Obama e a seguire Decline Is a Choice di Charles Krauthammer, The Obama Doctrine (Gary Schmitt and Tom Donnelly), The Perils of Wishful Thinking (Robert Kagan), Obama's Year One: Contra (Robert Kagan), Idealism Isn't Dead
(Robert Kagan). In pratica tutto il mondo neocon e realista ben rappresentato.

E' tempo di tagli, di risparmio economico e di proteste anche negli USA: qui una lettera, bipartisan, firmata da uno stuolo di generali in pensione contro le limitazioni del budget alla difesa dell'amministrazione Obama.


 

Su Foreign Policy, articolo su come vincere la guerra di idee con il mondo islamico, cioè come uscire dallo scontro di civiltà prospettato da Huntington; è una discussione estremamente interessante sul ruolo di quella che gli americani chiamano "public diplomacy" in alternativa alla diplomazia nelle segrete stanze e alle vecchie relazioni esterne. In pratica, la comunicazione come strumento della politica estera con lo scopo di influenzare la pubblica opinione degli altri paesi. Anche il nostro Ministero degli Esteri si sta attrezzando in tal senso ed ha attivato il primo corso interno sulla public diplomacy; nel sito della FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiane) si trova il materiale preparatorio del corso e anche dei cases studies. Ecco un breve rimando a siti di approfondimento: The USC Center on Public Diplomacy, Public Diplomacy on Wikipedia, Public Diplomacy Alumni Association, A study of London Foreign Policy, Public Diplomacy on PRConversations blog, A blog on Public Diplomacy and strategic communication in the 21st century.

In occasione delle giornate europee dedicate alle vittime al terrorismo, link completo ai documenti dell' Unione riguardo la lotta al terrorismo.

Da segnalare, le crescenti tensioni tra Russia ed ex satelliti nel Caucaso che rischiano di incrinare i già tesi rapporti con gli Stati Uniti.

E' uscito l'ultimo numero di Terrorism Monitor della James Town Foundation; tra i molti articoli, ne segnaliamo due in particolare, il primo sulle tensioni, in Kashmir, tra irredentisti islamici e India in grado di avere effetti a catena devastanti, il secondo è una ricerca sul campo nelle terre di confine tra Pakistan e Afghanistan e analizza l'opinione di studenti sulle operazioni americane in Waziristan. Il giudizio è abbastanza a favore di questi attacchi mirati e estremamente duro nei confronti dei talebani. Per chi ama i dati e le schede informative, ecco la lista dei comandanti talebani e di Al Qaida uccisi o catturati in Afghanistan

Elezioni in Iraq. Avvertimento serio ad Obama da parte di Brian Katulis, analista del Center for American Progress. Adesso che la situazione interna sembra che si stia stabilizzando e comunque può essere osservata con maggiore serenità, rimane il lavoro di integrare l'Iraq nel quadro regionale a partire dai rapporti con l'Iran e la minaccia che esso rappresenta, per finire con i paesi con cui l'America ha ottimi rapporti bilaterali, dalla Giordania all'Arabia. Un giudizio durissimo, e fuori dal coro, sul voto proviene da Daniel Pipes: "queste sono elezioni cosmetiche, perché l'Iraq non è uno stato che si può reggere da solo senza gli aiuti del governo americano".


 

"Il mondo è più complicato di quanto sembri, oppure "la realtà supera la fantasia". Asia Times riporta un fatto sconosciuto al pubblico italiano: la collaborazione tra servizi segreti pakistani, americani e iraniani per la cattura di un terrorista sunnita. Il fatto incredibile non è ovviamente la strana unità, ma il fatto che a darne notizia sia stato lo stesso Mahmud Ahmadinejad in visita a Kabul.
Il fatto è che l'Iran condivide molti degli interessi degli altri paesi della regione, innanzitutto la lotta contro il traffico di oppio il cui consumo affligge una fetta non piccola della gioventù persiana, in secondo luogo la necessità di fermare il terrorismo di marca sunnita al suo interno, infine uno stato di confusione nella regione finisce anche per minacciare la stabilità del regime iraniano.


 

Sempre su Asia News, l'ultimo articolo di Spengler, pseudonimo sotto cui si nasconde un acuto e ben informato analista o attore (chi sa?) della politica internazionale. In queste righe si concentra sul rapporto trilaterale Iran, Israele e Stati Uniti. Il presupposto, Obama ha una politica estera ambigua ma spesso sbilanciata verso un'idea nostalgica e affettiva del terzo mondo per cui è disposto anche a rinunciare al ruolo imperiale e garante dell'ordine internazionale da parte dell'America; se così fosse, non garantisce più Israele davanti alle minacce nucleari e quindi Tel Aviv deve scegliere se rimanere uno stato cliente degli USA o assumere il ruolo di potenza regionale egemone e pensare a difendersi da sola al rischio di incrinare l'amicizia con gli USA. Se agisse contro Tehran senza il via libera del potente alleato oltre Oceano, si potrebbe disegnare il seguente scenario. I paesi sunniti, Arabia in testa, sarebbero ben contenti; la Russia avrebbe più buon gioco, anche economico e militare, a confrontarsi con Israele che con il diretto oppositore; gli americani allo stesso tempo invece sarebbero i più danneggiati essendo esposti alle rappresaglie iraniane sia in Iraq che in Afghanistan dove l'Iran gioca una complessa partita supportando sia i talebani che la minoranza scita degli azara, inoltre si assisterebbe al risorgere di nuove tensioni in Pakistan tra il governo centrale la popolazione scita, 25 milioni di fedeli che vedono negli ayatollah iraniani i loro protettori. Ma fare predizioni su che cosa potrebbe avvenire in conseguenza di un raid israeliano deciso autonomamente in una situazione tanto fluida, con in gioco così tante variabili e dove si muovono decine di attori statali e no, è pressoché impossibile.

Sulla politica da intraprendere contro l'Iran, The Heritage Foundation ha elaborato dieci passi da intraprendere:1 imporre e rendere effettive le sanzioni, 2 superare le lobby economiche fili iraniane, 3 utilizzare tutti gli strumenti della "public diplomacy" per lanciare una campagna a favore dei diritti civili, 4 facilitare la comunicazione tra i dissidenti, 5 sostenere i gruppi di opposizione, 6 mantenere le truppe in Iraq fino a quando non siano annullate le mire iraniane sul paese, 7 lanciare una campagna all'interno dell'Iran di discredito del regime mostrandone la corruzione dei dirigenti, 8 modernizzare l'arsenale nucleare americano per convincere Tehran delle intenzioni americane, 9 aumentare le capacità militari americane nella difesa degli alleati, 10 dispiegare un robusto sistema di difesa missilistico a difesa dei paesi alleati minacciati dal nucleare iraniano.

lunedì 8 marzo 2010

Appuntamento settimanale: elezioni in Iraq, Afghyanistan e un utile punto di vista sull’eccezionalismo americano

Iraq

Tempo di elezioni e quindi stagione di attentati. Per orientarsi, ecco un paper che descrive il processo elettorale in Iraq, le formazioni politiche in rapporto ai maggiori gruppi etnici e si conclude con gli scenari futuri; il più probabile, vista anche la natura proporzionale del sistema e la frammentazione dei partiti, sarà che per la formazione del nuovo governo ci vorranno mesi che significherà un aumento del clima di incertezza durante i quali i compiti per gli americani certamente aumenteranno a dispetto delle previsioni di ritiro.

Anche l'International Crisis Group dedica un report alle elezioni e sottolinea la situazione difficile caratterizzata da una ripresa delle violenze settarie, dalla manipolazione dell'apparato statale a favore di gruppi particolari, etnici religiosi tribali ecc., e della questione sempre aperta dello status di Kirkuk contesa da curdi e arabi, da governo centrale e governo locale. Ad aumentare il caos, la decisione di escludere dalla competizione elettorale ben 500 candidati, quasi tutti non sciti; infatti ecco l'accusa da parte dei gruppi sunniti contro il governo a maggioranza scita di voler in un qualche modo truccare il risultato elettorale. A complicare le cose, sembra che non sia prevista nessuna presenza internazionale che assicuri l'imparzialità delle votazioni.

In mezzo a tanta confusione, una notizia positiva viene come sempre dal clero scita iracheno e in primo luogo si segnalano per la loro lucidità le parole del Grande ayatollah Sistani sempre più indirizzato su di una via islamica alla secolarizzazione; questa estate si è espresso contro partiti clericali univoci, in secondo luogo contro un governo formato a maggioranze religiose univoche e adesso non ha voluto segnalare nessuna preferenza per i partiti esistenti auspicando solo che gli iracheni scelgano per il bene del paese.

In ultimo, un problema giuridico che la Corte federale irachena si trova a dirimere con importanti conseguenze economiche e sulla ripartizione del potere: quale autorità - il governo centrale, il parlamento, i governi locali, il primo ministro, il ministro per il petrolio – deve avere il potere di stipulare i contratti con le compagnie petrolifere straniere?

Afghanistan

I droni - unmanned aerial vehicles (UAVs) -sono gli aerei senza pilota e telecomandati frutto di una sofisticata ingegneria che permettono una serie di operazioni complesse, dai compiti di sorveglianza fino all'individuazione di bersagli compresa la loro distruzione, senza esporre i soldati e magari agendo anche fuori del territorio afghano. L'azione si svolge in due fasi: agenti sul campo, spie infiltrati e quant'altro segnalano l'obiettivo -basta lasciare un cellulare, una semplice scheda magnetica nei pressi del bersaglio- e poi arrivano i piccoli aerei a completare l'opera. All'inizio della guerra sono stati utilizzati poco, ma nel 2009 siamo arrivati a ben più di cinquanta missioni e a una stima approssimata tra le 466 e le 709 di talebani eliminati. Ora la New American Foundation ci regala una mappa interattiva, fatta benissimo, che spiega momento per momento, episodio per episodio, le azioni aeree in Afghanistan basandosi su dati raccolti attraverso i media: New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Associated Press, Reuters, Agence France-Presse, CNN, BBC, il pakistano the Daily Times, e molti altri ancora. Un lavoro notevole. Il dato eclatante, vale la pena sottolinearlo, sta nel l'aumento ad opera di Obama dell'utilizzo in azioni armate di questo strumento e per giunta anche in Pakistan e nelle zone tribali come si evince chiaramente dalla cartina interattiva.

Riguardo al Pakistan e all'attuale offensiva americana in Afghanistan sono quattro le considerazioni da fare. La prima, ogni azioni di contro insurrezione deve eliminare i santuari all'estero dei gruppi anti governativi e quindi finchè i talebani potranno trovare rifugio e sostegno al di là del confine, per altro difficilissimo da controllare, vi sarà sempre una minaccia aperta; la seconda osservazione, non c'è nessuna differenza etnica, linguistica, religiosa e tribale tra le popolazioni che vivono a cavallo della Durand line, il confine disegnato dai britannici nel 1893 per difendere i loro interessi; la terza considerazione, i famosi e famigerati servizi segreti pakistani hanno aiutato da sempre i pashtun sia in funzione antisovietica che anti indiana (ma ora le cose stanno cambiando) e infine l'ultima nota, forse la più pericolosa: anche Al Qaida ha trovato un ottimo rifugio in questa area. Come si vede, più situazioni si mischiano tra loro e gli alleati, se vogliono riuscire a venirne a capo, devono contemporaneamente agire su più fronti e con metodi e strumenti diversi: colpire Al Qaida, isolare i talebani cattivi, reintegrare i pashtun a mezzo servizio con i talebani, trovare una soluzione politico diplomatica per questa area che soddisfi l'esigenza di indipendenza tribali e la sovranità pakistana, tranquillizzare il Pakistan sulle intenzioni del suo vicino indiano, epurare i servizi pakistani, estendere il controllo di Kabul sul sud del paese, sigillare i confini impedendo infiltrazioni continue.

Stati Uniti

A proposito della politica ondivaga di Obama anche in politica estera, da una parte dura ma dall' altra senza un orizzonte ben definito se non le banalità politicamente corrette, può aiutare a capire qualcosa un bel dibattito su National Rview on Line. I due giornalisti e commentatori conservatori Richard Lowry e Ramesh Ponnuru hanno acceso le polveri con una serie di note interessanti anche per l'italico centro destra. Riassumo: i conservatori americani non sono i Tory inglesi, non hanno nessun privilegio da salvaguardate, anzi sono a favore del dinamismo di una società aperta, ma allora che cosa vogliono conservare? La risposta è semplice: i pilastri dell'eccezionalismo americano. L'America ha il compito di difendere la sua peculiarità di sempre: "è più libera, più individualistica, più democratica, più aperta e dinamica di qualsiasi altra nazione al mondo". Mobilità sociale, intraprendenza individuale, fiducia nel futuro, patriottismo, desiderio di autorealizzazione, religiosità sono i tratti caratteristici che formano il cittadino americano nella maggioranza dei casi. Come tutte le posizioni liberal, la posizione di Obama nei confronti dell'eccezionalismo è relativistica e formalistica con la conseguenza di disegnare l'identità del paese in un divenire astratto e senza radici; ecco ad esempio le sue parole durante un viaggio in Europa: "Credo nell'eccezionalismo americano, ma sospetto proprio che i britannici credevano nell'eccezionalismo britannico e i greci nell'eccezionalismo greco". E così tutti sono contenti, le peculiarità di un popolo e della sua storia si dissolvono in un tutto indistinto.

La politica di Obama per normalizzare il paese, secondo i due giornalisti, è chiara. Obama sta portando un duro attacco a questa specificità attraverso una crescita dell'intervento dello stato nella società, si veda la riforma sanitaria e la nuova legislazione sul commercio. A tutt'oggi in USA la spesa statale è molto più bassa di quella nei paesi europei e il peso dell'amministrazione pubblica sulla società è assolutamente inferiore al nostro, basta pensare alla burocrazia di Bruxelles. Più potere allo stato, maggiore intervento pubblico in economia e nella vita sociale, peso crescente della pubblica amministrazione e riequilibrio dei poteri istituzionali a vantaggio di quelli non elettivi, come la magistratura, ma a svantaggio della sovranità dei cittadini!

Smontare l'unicità americana, ecco l'ammonimento, significa ridurre gli Stati Uniti uguali e simili alla disarmata, imbelle e stalista Europa!

Continua, sempre sul NRO, Yuval Levin. Come è possibile conciliare peculiarità nazionali e valori universali? Semplice, la sintesi è il prodotto della storia, delle particolari origini culturali della nazione. Individualismo borghese, common law britannica, illuminismo scozzese , spirito della frontiera, principi ed esperienza di autodeterminazione si sono fin dalle origini fusi assieme producendo istituzioni e costumi unici. Non si può separare la storia, i fatti concreti, dalla formazione culturale e morale che in quanto idee possono appartenere a tutti gli individui e a tutti i popoli. Se ogni nazione è unica, non tutte le nazioni si sentono eccezionali perché a questo sentimento è legato un senso di superiorità sugli altri popoli e infatti l'America sente di avere una missione unica e universale da compiere. Ora è un dato di fatto che la forza militare, economica, culturale, la geografia e l'andamento demografico rendono unica la capacità di attrazione del paese. Erede dell'Impero britannico, sarebbe allora meglio parlare, con James Bennet autore di "The Anglosphere Challenge: Why The English-speaking Nations Will Lead The Way In The Twenty-first Century"
e creatore di un
sito dedicato all'argomento, di un eccezionalismo proprio appunto dei paesi di lingua inglese. Ma secondo Levin ,se gli Stati Uniti vogliono mantenere la loro capacità di attrazione, sarebbe meglio che fondassero la loro azione su di un diritto naturale universale, composto da un individualismo fondato su basi teologiche, su verità trascendenti la storia.


 

Anche John Bolton, l'ex ambasciatore all'ONU, critica la strada verso la normalizzazione intrapresa da Obama e si collega alla discussione precedente riportandola sul terreno della politica estera. Il presidente democratico ha scelto scientemente una linea di basso profilo internazionale cercando di far dimenticare l'unilateralismo orgoglioso dell'amministrazione Bush e così adesso ha tessuto elogi a favore dell'umiltà e del dialogo tra le nazioni. Bolton gli risponde sarcastico, facendo notare che nel mondo il concetto di virtù e difetti cambia a seconda che si guardi gli aspetti pubblici e delle organizzazioni o agli aspetti privati delle persone. Se la modestia è una buona qualità individuale, un Churchill umile sarebbe stato una tragedia per il mondo libero. Il realismo non un punto di mezzo tra orgoglio e umiltà, ma un attributo professionale dell'uomo di stato, qualcosa di necessario a livello di governo nazionale, una mediazione necessaria tra interessi e valori.

lunedì 1 marzo 2010

ILIBERAL E LA GUERRA

Fareed Zakaria in un lungo articolo riportato dal Corriere della Sera domenica scorsa, tracciava un bilancio della guerra contro Al Qaida e se ne usciva con un giudizio giusto e al contempo ingeneroso o addirittura intellettualmente disonesto. Vediamo perché.

Se confrontiamo lo stato del mondo arabo mussulmano odierno a quel fatidico 11 settembre, quando "Al Qaida si presentava aggressiva e baldanzosa", vediamo che "l'intera prospettiva della guerra al terrore ha conosciuto un'evoluzione straordinaria…I moderati hanno impugnato le armi e oggi siamo di fronte ad una svolta. Non si ravvisa più il rischio che una grande nazione cada in preda all'ideologia jihadista. Nella maggior parte delle nazioni mussulmane, i governanti sono riusciti a stabilizzare i regimi e il tessuto sociale, isolando gli estremisti…(Nei paesi mediorientali) sono emerse forze moderne, inclini alla laicità". Oggi Al Qaida ha perso la sua aura magica, "non si tratta più di un movimento capace di trascinare con sé il mondo arabo…la sua influenza politica si è molto ridimensionata". E il direttore di News Week arriva ad una conclusione assolutamente condivisibile, "L'America non è più impegnata in una lotta di civiltà contro il mondo mussulmano, bensì in una campagna militare e di intelligence in un certo numero di località prescelte … Il nemico non è tentacolare e il pantano è in fase di bonifica. Nel campo ideologico, Al qaida ha già perso".

Zakaria però si dimentica di dire chi è stato l'autore di questo successo, chi ha messo la firma sotto questa prima vittoria complessa e articolata data la natura molteplice di questa guerra. Si scorda di dire un semplice "grazie" a tutta l'amministrazione Bush, al discusso Rumsfeld, ai teorici Neocon, attribuendo loro più errori che meriti. E' una strana presunzione quella dei liberal di ogni continente, quando arrivano loro a dire e fare le stesse cose dette e fatte dai conservatori o della destra, insomma da quelli dello schieramento opposto, allora vanno bene e sono giustificate, ma prima? Ora che Obama applica la stessa strategia di Bush anche in Afghanistan – con tutte le luci e ombre che ciò comporta – questo tipo di lotta al terrorismo jhadista va bene, ha il bollino blu del politicamente corretto ed è sparito d'un colpo l'accusa di militarismo e imperialismo.

Fatta questa premessa, necessario prologo in nome della verità, possiamo valutare la strategia degli otto anni Bush e trarre un bilancio abbastanza ragionato. L'11 settembre coglie gli Stati Uniti all'improvviso su tre piani: quello della sicurezza interna, quello militare ma soprattutto su quello politico strategico, nel senso che l'eventualità che Al Qaida potesse colpire con quella violenza il cuore dell'America era cosa che nemmeno rientrava entro l'orizzonte dei piani di difesa e dei pensieri dell'amministrazione e di tutta Washington. Non a caso uno dei primi libri che uscì del grande studioso della guerra fredda Gaddis portava proprio nel titolo la parola "surprise". Allora a colpire l'opinione pubblica, fu l'aspetto tragico, l'uso spregiudicato dei mass media e la simbolicità dei bersagli, l'impreparazione dell'intelligence, e si aprirono le finestre su un mondo che fino ad allora era guardato con distrazione e sufficienza anche dagli stessi americani, pur sotto tiro del fondamentalismo terrorista dal quel 1982 quando a Beirut saltò in aria una baracca dei marines.

Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, dopo Perl Harbur, gli Stati Uniti si erano dimostrati scoperti e vulnerabili. E' vero, prima c'era stato il Vietnam, ma era fuori casa e comunque avrebbero pagato cara quella ritirata. La loro invincibile forza militare, la superiorità assoluta nel campo tecnologico non era stata in grado di fermare una banda di terroristi venuti dal deserto! Era incredibile, l'unica superpotenza sopravvissuta alla guerra fredda messa in ginocchio da dei fantasmi.

Il primo compito, il principale, per una grande potenza che deve assicurare l'unico ordine esistente a tutti i paesi del mondo – in modo particolare agli alleati consumatori della sicurezza prodotta dagli USA – è di ristabilire il primato attraverso la restaurazione della deterrenza. Non esiste la possibilità di esercizio della propria funzione di garante dell'ordine e di difesa degli alleati se non viene immediatamente percepito da tutti i potenziale nemici che nessuna sfida resterà impunita.

In secondo luogo, bisognava trovare una strategia appropriata in grado di contrastare la novità assoluta dell' insorgenza globale, asimmetrica in tutti i sensi, portata avanti da Bin Laden. Al Qaida aveva ed ha origine nell'humus nel Grande Medio Oriente mussulmano. Per intenderci, è un fenomeno a buccia di cipolla, un po' come la mafia, la stragrande maggioranza dei siciliani non è mafiosa, ma il 99,9% dei mafiosi sono siciliani e si dicono cattolici; non tutti i reati in Sicilia sono da attribuirsi a origini mafiose, ma la mafia prospera in un terreno di illegalità sociale diffusa; non è determinata certo dalla povertà, ma non siamo certo a Bergamo. Insomma l'isola non è la Svizzera.

Così gli americani hanno approntato delle contromisure complesse. La prima azione è stata la cacciata dei talebani e di Al Qaida dall'Afghanistan, con un'azione militare per sforzo logistico e velocità incredibile. La seconda, con l'invasione dell'Iraq, hanno spazzato un regime base di ogni avventurismo medio orientale che seminava instabilità da un ventennio in tutta l'area. Con entrambe le azioni poi gli USA hanno raggiunto un altro importante obiettivo, impiantandosi stabilmente in quell'area di crisi e assicurando Israele alle spalle. In terzo luogo, hanno iniziato a dare la caccia ad al Qaida sul piano globale tramite azioni di polizia e di intelligence internazionali. Allo stesso tempo iniziava l'azione politica verso gli alleati arabi convincendoli a stringere rapporti più stretti con gli Stati Uniti e a troncare le dubbiose relazioni con Bin Laden. Al quarto punto, vi è la lotta ideologica contro il jadhismo a sua volta articolata su più livelli rappresentati dal progressivo raggiungimento di più obiettivi. Separare il fondamentalismo dal terrorismo islamista, far avanzare nei paesi una certa separazione tra stato e religione, in secondo luogo lo stato di diritto e infine la democrazia.

Certo errori sono stati commessi. Si può iniziare con quelli di comunicazione - come la gaffe di Bush quando usò il termine "crociata", l'abuso dell'espressione "esportazione della democrazia", la dichiarazione prematura della vittoria in Iraq - per passare poi a quelli politici in Iraq – la carta Chalabi, lo scioglimento dell'esercito, l'epurazione del Baath, la mancata creazione immediata di un governo locale ecc. – fino ai due errori, se così li possiamo chiamare, rappresentati dalle conduzioni politico militari delle campagne in Afghanistan, ma dove era la Nato?, e in Iraq, dove ci sono voluti qualcosa come, nel primo caso, otto anni, nel secondo quattro per intraprendere un'azione efficace.

Ma il limite più grave, e forse incorreggibile, nonchè inevitabile, è rappresentato dall'incapacità da parte di una democrazia del XXI di sobbarcarsi impegni neocoloniali, eppure necessari per fermare alcune derive a cui comunque la comunità internazionale deve rispondere ma è incapace di farlo in modo orchestrato.

Rimane l'incognita scita. Dopo l'11 settembre, il panorama del Grande Medio Oriente appare fortemente mutato con l'Iran nucleare degli Ayatollah finalmente liberato dalle minacce di Saddam e dei talebani, entrambi acerrimi nemici degli sciti, e con a Baghdad un governo amico anche se non servo. Era previsto?