lunedì 11 maggio 2009

Note internazionali n° 3, L'Occidentale, 9 maggio 2009

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Afghanistan e Pakistan

Michael Rubin sul Weekly Standard dell’11 maggio scrive un interessante commento, un po’ polemico, sulle strategie adottate contro i talebani nei due paesi. Accusa Hillary Clinton di non aver ben compreso la portata dell’estremismo islamico, del suo pensiero strategico e di ritenere che sia causato da situazioni di malessere sociale ed economico che richiedeno, per essere risolte, interventi improntati alla creazione di sviluppo economico. Rubin, esperto di Medio Oriente nonché membro del famoso e neoconservatore think thank American Enterprise Insitute, afferma che “il segretario Clinton non è sola nel suo rifiuto di afferrare che la sfida portata dai Talebani è essenzialmente ideologico-religiosa e non causata da ingiustizie”. Per spiegare questa affermazione, lo studioso americano cita l’ideologo jihadista Abu Bakr Naji che nel 2004 pubblicò un trattato intitolato, incredibile ma vero, “The Management of Savagery (Idarat at-Tawahhush)” o “La gestione della ferocia”. Questo lungo libro per fortuna è disponibile in inglese e quindi è diventato un testo di riferimento per comprendere - leggendo una delle fonti originarie - il pensiero estremista islamico; la sua lettura è estremamente istruttiva anche per il motivo che offre un’idea della complessità di quel mondo: qui infatti si rifiuta la tattica di Al Qaida di insorgenza globale slegata da rapporti stretti con qualsiasi territorio e nazione, sostenendo invece la necessità di occupare innanzitutto un delimitato spazio geografico su cui imporre la propria legge coranica. Questi testi sono interessanti anche perché offrono una visione estremamente franca sia sul punto di vista islamico sugli occidentali che sui loro punti di forza e debolezza. “O popolo! La depravazione del soldato russo è due volte quella del soldato americano. Se gli americani soffriranno un decimo delle perdite sofferte dai russi in Afghanistan e Cecenia, essi andranno via e mai ritorneranno. Questo perché la struttura attuale dell’ esercito americano e di quelli occidentali non è più la stessa di quella durante l’era coloniale. Essi hanno raggiunto un tale stadio di effeminatezza che li rende inabili a sostenere battaglie di lungo periodo, una debolezza che compensano con un ingannevole alone mediatico” .
Assieme a questo libro, ve ne è un secondo che si può sempre trovare in inglese e on line (però anche Amzon lo vende) ed è per questo sempre citato: “The Coranic Conception of War” (1979) del generale di brigata dell’esercito pakistano S.K. Malik prefato da un personaggio altrettanto importante e ufficiale come l’ex ambasciatore in India Allah Bukhsh K. Brohi. A conferma dell’importanza di questo testo vi è il fatto del suo ritrovamento tra gli zaini dei talebani in Afghanistan. Ma per felicità dei lettori, esiste una recensione del libro americana tradotta però in italiano ad opera della Fondazione Camis de Fonseca. Il saggio inizia con una distinzione tra Dar al Islam (la casa dell’Islam), e Dar al Harb (la casa della guerra - i paesi non islamici), con una strana idea di guerra difensiva che consiste nel dovere per ogni mussulmano di rimuovere, anche con la forza, tutti gli ostacoli alla diffusione dell’Islam. Se poi qualcuno dubitasse della raffinatezza del pensiero islamico, può fermarsi a riflettere sulla seguente citazione: “ In guerra il nostro principale obiettivo è rappresentato dalla mente o anima del nemico, la nostra maggior arma di offesa contro questo obiettivo è la forza delle nostre proprie anime e per lanciare un simile attacco dobbiamo scacciare la paura dai nostri cuori… Il terrore provocato tra i cuori dei nostri nemici non è solo un mezzo, è un fine in se stesso. Una volta che è ottenuta una condizione di terrore nel cuore del nemico, possiamo raggiungere qualsiasi scopo. E’ il punto dove i mezzi e i fini si incontrano e si mischiano. Il terrore non è un mezzo per imporre le decisioni al nemico; è la decisione che noi vogliamo imporre a lui” (pag 59). Cioè di per sé e questo è possibile perchè “il terrore può essere instillato solo se la fede del nemico è distrutta. Per instaurare il terrore nei cuori del nemico, è essenziale, in ultima analisi, che la sua fede sia sradicata”.
Mi sembra che non ci sia bisogno di commenti, spaventa una simile lucidità di analisi e vengono alla mente le parole che Cormak McCarthy fa dire allo sceriffo in “Non è un paese per vecchi” (cito a memoria): “Non si può vincere una guerra se non si crede in Dio”.

Afpak
La situazione in Pakistan e Afghanistan rimane quindi sempre difficile e problematica come dimostra l’incidente dove sono morte cento cinquanta civili ad opera dei bombardamenti americani e nonostante gli incontri a Washington tra i tre presidenti. In un chiaro articolo su Foreign Policy ci si chiede quando il Pakistan si risveglierà dal torpore che lo sta portando al collasso. Il generale Petraeus ha dichiarato che le prossime settimane saranno decisive, mentre Kilcullen sostiene che il paese potrebbe collassate entro sei mesi. In questo stato di apatia la popolazione ha sviluppato una grande tolleranza per le forze antigovernative come i talebani…La maggioranza silenziosa è diventata acquiescente permettendo ai radicali di trovare rifugio tra loro piuttosto che scegliere la strada della ribellione”.
Anche il giornalista vincitore del premio Orwell Patrick Cockburn è pessimista sullo stato del paese, ma in modo particolare sulla volontà e capacità del suo presidente Garzai di sconfiggere il terrorismo. “ In Afghanistan vi sono grandi opportunità. Il regime dei talebani è sempre stato odiato dalla maggioranza della popolazione che è stata contenta di vederlo crollare. La presenza degli americani è stata ben accolta dalla maggioranza. Gli aiuti per la ricostruzione dall’estero non sono stati molti, ma abbastanza da fare la differenza per gli afgani. Sono state le disfunzioni create dai signori della guerra e dai criminali tollerati da Karzai che hanno aperto la porta ai talebani.”

USA
Se questa è una guerra ideologica, che militarmente può essere solo arginata, ne consegue che il terreno delle idee è quello principale. Per curiosità, ecco un documento fino a poco tempo fa riservato del Centro Controtterismo Usa sul linguaggio da adottare contro Al Qaida e simili che inizia con una massima che dovrebbe essere tenuta a mente sempre nella lotta: “Non è importante quello che dici, ma come loro ti capiscono”.

Lo stato della lotta al terrorismo negli USA viene illustrata in questo rapporto che esce annualmente a cura del Dipartimento di Stato.

Israele
Shimon Peres ha rilasciato il 5 maggio un’intervista dove sostiene un principio molto importante che ritroviamo espresso anche in un articolo di Fiamma Nirenstein: che Israele è disposto a pagare un prezzo alto per la pace e che la situazione attuale in Medio Oriente è piena di rischi ma anche di opportunità.

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