mercoledì 23 settembre 2009

LA STRATEGIA DI McCRYSTAL

Ragionpolitica, 23 settembre 2009


 

Il 30 agosto il generale Stanely McCrystal ha consegnato l'ormai celebre rapporto sull'Afghanistan al Segretario alla difesa Robert Gates. L'analisi è impietosa. Nonostante siano passati otto lunghi anni dall'invasione del paese, nonostante l'iniziale e rapida sconfitta dei talebani, nonostante la rotta di Al Qaida e nonostante che a Kabul sieda un governo 'democratico, tuttavia le cose non vanno affatto bene.

Le difficoltà incontrate dalle truppe occidentali sono enormi. Tre prima di tutto: 1) la debolezza del governo di Karzai che non riesce a essere visto come il governo di tutti gli afghani, e in modo speciale da quelle tribù del nord, scheletro portante della lotta antisovietica, 2) l'inconsistenza della società civile in un uno dei paesi più poveri e privo di infrastrutture dell'Asia centrale, 3) la piaga della coltivazione d'oppio, spesso l'unica fonte di ricchezza e brodo di coltura di ogni attività criminale. Il problema non è da poco, infatti uno dei punti fondamentali di ogni strategia di contro insorgenza ruota attorno al concetto di conquista della popolazione, insomma la visione deve essere "popolazione centrica". Un approccio di questo genere richiede per lo meno cinque passaggi. Prima garantire la sicurezza ai cittadini difendendoli dagli stessi talebani, pensare al loro benessere – costruire case, scuole, strade, ospedali – in modo da separare la popolazione dagli insorti; allo stesso tempo, ricostruire e addestrare le forze armate e la polizia locali in modo da renderle autonome, passo che a sua volta rimanda all'affidabilità delle istituzioni del posto; e infine sconfiggere militarmente sul campo i ribelli, terroristi o criminali che siano. In realtà le quattro fasi non sono in ordine temporale; è chiaro che le prime tre devono avvenire allo stesso tempo. Il quinto passaggio è rappresentato dalla chiusura ermetica dei confini in modo che non ci avvengano infiltrazioni di armati, soldi e rifornimenti dall'esterno.

In una strategia di coin ben articolata che non sia colonialista, cioè che non veda le potenze straniere sostituirsi agli indigeni, lo snodo centrale è dato dal funzionamento di un governo centrale locale che sia sufficiente credibile agli occhi dei suoi cittadini e che possa essere di fondamento alla nascita di un esercito. Alle truppe alleate insomma sarebbe demandato un compito di supporto delle forze locali, di messa in sicurezza di obiettivi particolarmente importanti, e di pronto intervento rapido. E queste due condizioni in Afghanistan sembrano mancare alla grande; limiti strutturali su cui poi si sono innestati gli errori degli americani e della NATO. Se poi si assommano gli altri due punti problematici, il traffico dell'oppio e l'inesistenza di confini con il Pakistan, a volte vero e proprio santuario per i talebani, la drammaticità del quadro è ben presto disegnata.

Così, al generale McCrystal non rimane che il ricorso ai numeri, alla richiesta di invio di maggiori truppe per saturare il paese. Adesso in Afghanistan ci sono circa 100.000 soldati e alcuni generali pensano che ne sarebbero necessari circa il quadruplo (!), numero ottenuto moltiplicando le truppe in Kossovo, dove si è svolta una missione di peace keeping vincente e molto più semplice, per i chilometri quadrati dell'Afghanistan. Ma si potrebbe anche riandare all'esperienza irachena, dove la surge contro Al Qaida, coinvolgeva una zona abitata da circa cinque milioni di sunniti.

Solo raggiungendo posizioni di forza sul campo, solo facendo un passo avanti verso un colonialismo neo paternalista che metta sotto tutela il governo di Kabul, sostituendosi addirittura ad esso in alcune funzioni vitali, è possibile impedire che il paese precipiti nel caos, trascinandosi con sé il Pakistan con tutto quello che ne consegue.

Altre alternative sono impraticabili: le democrazie non possono intraprendere la strada della pacificazione violenta intrapresa dalle potenze coloniali nel secolo scorso. Forse, ma andrebbe ben analizzata e a questo punto la situazione appare anche troppo compromessa, rimane aperta, in linea teorica, la strada del controllo a distanza: "non importa chi governi a Kabul, se talebani, Karzai o chi per loro, noi non entriamo nella faccende interne; l'importante è che nel paese non ci siano basi di Al Qaida, che dall'Afghanistan non partano azioni terroristiche; quindi, appena ne abbiamo il minimo sentore, interverremo con le truppe speciali e dall'alto".

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