mercoledì 30 settembre 2009

Afghanistan 2

29 settembre 2009 Ragionpolitica

La questione afghana è tutto meno che facile. L'evolversi della situazione in questi lunghi 8 anni ha fatto sì che il conflitto si trasformasse in modo inesorabile, passando da una guerra contro Al Qaida e i talebani ad una campagna di contro insorgenza, schierando la coalizione NATO entro una vera e propria guerra civile tra afghani. Oggi in Afghanistan si combattono una serie di conflitti molteplici - contro i talebani, contro i talebani pakistani, contro i vari signori della guerra, contro i narcotrafficanti, i banditi, guerra anche tra etnie, tra pashtun e alleanza del Nord e così via in un groviglio di difficile comprensione che finisce per chiamare in causa addirittura le potenze della regionali, dall'India alla Cina all'Iran, per non parlare del Pakistan ormai teatro di scontri.

Situazione drammatica per ogni democrazia occidentale e in primo modo per gli Stati Uniti, paese ferito dall''11 settembre, che sta pagando un tributo di sangue estremamente alto e che deve fare i conti con una opinione pubblica nazionalista ma anche con forti tendenze isolazioniste, segnata dal ricordo indelebile del Vietnam.

Da qui sempre la tendenza a cercare scorciatoie nelle guerre sporche, nelle small wars, nelle guerre d'oltre mare a fianco di personaggi scomodi come Karzai. E per gli USA cerare scorciatoie significa solo una cosa: la tentazione a ricorrere alla loro enorme superiorità tecnologica e logistica. Armi intelligenti, aviazione, informatica, truppe speciali, velocità. Questa è la formula magica della ormai celebre RMA (Rivolution in Military Affairs) portata al suo massimo sviluppo da Donal Rumsfeld, segretario alla difesa con Bush dal 2001 al 2006. Prima guerra del Golfo, Serbia, inizio della campagna afghana. Questi sono i successi veramente straordinari e impressionanti, basti immaginare cosa significhi portare di là dall'oceano per via aerea migliaia di carri armati, camion, cannoni e decine di migliaia di uomini e rifornirli continuamente, giorno per giorno.

Davanti ad una simile potenza di fuoco, ogni nemico che osi affrontare gli americani in modo convenzionale, in campo aperto, crolla dopo pochi giorni. E' successo così per tutti, anche per i talebani che incomprensibilmente scelsero una strategia di opposizione frontale. Ma il successo repentino comporta anche che il nemico collassi, non venga annientato, che sopravviva e possa quindi riorganizzarsi sotto nuove sembianze. E infatti così è avvenuto in Iraq, dove i fedeli di Saddam hanno formato i primi gruppi di resistenza e così è avvenuto in Afghanistan.

Ecco che di nuovo la dura realtà delle guerre asimmetriche si è dimostrata verificata. Per riuscire vittoriosi in questi conflitti, la potenza straniera deve saturare con la fanteria, con i soldati con gli scarponi, il terreno, perché il primo compito, chiave di ogni successo, è rappresentato dalla difesa della popolazione, dalla sua messa in sicurezza contro le azioni dei terroristi, guerriglieri o quant'altro. Ha ragione il giornalista di forti simpatie repubblicane David Brooks che in un articolo sul New York Times del 25 settembre – pubblicato sul Corriere domenica 27 – "Non esistono guerre leggere: più uomini per vincere a Kabul". "Non ci sono precedenti a sostegno di tali illusioni, anzi, l'evidenza storica suggerisce che queste mezze misure non fanno altro che creare situazioni in cui si hanno forze a sufficienza per accollarsi le responsabilità di un conflitto, ma non abbastanza per ottenere la vittoria".

Non ci sono scorciatoie. E questa è stata la strada scelta dal generale McCrystal ora in Afghanistan e prima di lui da Petraeus, ora sua capo, in Iraq. Certo davanti c'è l'interrogativo drammatico se il nuovo governo afghano, che uscirà dalle elezioni, si dimostri all'altezza della situazione riuscendo a fornire quelle garanzie di decente amministrazione che fino ad oggi sono mancate.

Non stupiscono quindi le voci che ancora una volta si levano da parte democratica, dove più forti sono le tendenze isolazioniste – si ricordi l'ex presidente Clinton e il suo comportamento 'aereo' nei confronti di Bin Laden- tutte indirizzate ad una strategia di contro terrorismo, con lo scopo di limitare l'obiettivo alla caccia ad Al Qaida e ai talebani "internazionalisti". Certo, questo significherebbe diminuire il numero dei soldati, concentrarsi su alcuni obiettivi, ma che succederebbe in un Afghanistan in balia della guerra civile? E del vicino Pakistan possessore della bomba atomica? E della credibilità dei più forti eserciti del mondo non in grado di sconfiggere un nemico straccione forte di 30 mila uomini in ben otto anni? E nemmeno in grado di aiutare i loro alleati?


 


 

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