lunedì 21 settembre 2009

AFGHANISTAN: CHE FARE?

RAGIONPOLITICA 19 SETTEMBRE


 

Che fare adesso? Adesso, dopo che la morte è arrivata sui nostri soldati portandoseli via senza poter far niente in un attacco terroristico senza l'onore del combattimento, in un imboscata paurosa che porta il segno, atto uguale ormai purtroppo a centinaia di altri, dell'attesa di un messia d'odio, tradito dai suo stessi fedeli.

Che fare ora che i governi confrontano il da farsi sul campo, i doveri da statisti con i sondaggi? Alcuni punti prima di prendere qualsiasi decisione devono essere chiari.

In primo luogo. La guerra in Afghanistan è una guerra giusta, necessaria e legittima.

Giusta perché risponde senza equivoci ai criteri della guerra intrapresa per legittima difesa o ci siamo dimenticati del rifiuto dell'Afghanistan del mullah Omar, santuario sicuro di Al Qaida, di consegnare Bin Laedn. E infatti i risultati sono arrivati, dal giorno dell'invasione ad oggi, Al Qaida è braccata, costretta a scappare di paese in paese con un Bin Laden morto o nascosto in qualche buco di caverna e i suo assistenti uccisi ed eliminati uno ad uno.

Necessaria. C'era altra scelta? Non sto discutendo di tattiche o strategie sempre migliorabili, perfettibili, ma sempre dopo, sempre ex post dai nostri strateghi in poltrona, generali da bar, perché è ovvio che le scelte potevano e possono essere diverse. Ma prima di criticare Rumsfeld, la sua teoria della guerra leggera, non è forse vero che dopo il Vietnam, il terrore di ogni governo USA è di impelagarsi in una guerra di terra, con le televisoni che inquadrano implacabili le bare dei soldati che escono dalle enormi fauci dei cargo, odiati a casa e nel mondo. Non c'era nessuna altra scelta, il dovere di ogni stato è di assicurare la difesa dei propri cittadini, restaurare la credibilità e la sua forza di deterrenza se non vuole finire nuovo e moderno agnello sacrificale.

Legittima. Se c'è una atto sociale dove parlare di diritto è risibile è la guerra, ma questo conflitto porta, a differenza dei bombardamenti della Serbia con D'Alema al governo, la ratifica dell'ONU. E il nostro impegno risponde inoltre al dovere di rispondere all'Articolo 5 del Trattato Atlantico che ci impone di accogliere la richiesta d'aiuto di un paese alleato attaccato. O ce ne siamo già dimenticati?

Se c'è un errore che poteva e doveva essere evitato, è l'atteggiamento indulgente, pietoso e paternalistico nei confronti dell'opinione pubblica a cui sono state raccontate delle favole sulle missioni di pace, perché si è parlato di fiorellini finendo per far pagare ai nostri soldati il paternalismo ipocrita e politicamente corretto che porta il segno della mancanza totale di responsabilità. Sfido chiunque a trovare una qualche ragione logica al fatto che un'alleanza abbia regole d'ingaggio diverse contingente da contingente, con caveat strettissimi per noi italiani.

Quando un paese occidentale si imbarca in un conflitto all'estero, scatta un tassametro, ogni giorno che passa il consenso scende, i cittadini-elettori si domandano se questa guerra valga la pena, la pena dei caduti, dei soldi spesi, magari in momenti di crisi come questi; se i nostri alleati locali, spesso corrotti e mascalzoni come Karzai, si meritano il nostro sacrificio. E il tempo passa, e questo lo sanno i nemici, lo sa Al Qaida, lo sanno i Talebani, lo sapeva anche Mao Tze Tung quando teorizzava la guerra rivoluzionaria. "Voi avete la forza, le armi, la tecnica e noi abbiamo il tempo". Questa è la semplice verità rivoluzionaria di ogni guerra asimmetrica, insorgenza, guerriglia o chiamatela come vi pare.

E allora il dovere di ogni stato degno di questo nome è di avvertire e preparare la propria pubblica opinione, perché si non si distragga, sia forte, possa resistere all'usura dello scorrere del tempo e possa anche scegliere, ma in verità, tra opzioni diverse: può decidere anche di ritirarsi, ma non per stanchezza, non perché scopre che in guerra si muore.

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