Firenze sabato 22 novembre 2008,
1) La CNN ha trasmesso il 19 novembre un interessante dibattito sulla situazione in Afghanistan, sulla possibilità di esportare la strategia adottata in Iraq tra il professor Barnett Rubin e David Kilcullen condotta dal direttore di News Week, Fareed Zakaria (autore di “The Post American Word”, tradotto anche in italiano)
http://edition.cnn.com/video/#/video/politics/2008/11/17/fz.fix.afghanistan.cnn?iref=videosearchBiografia di Barnett Rubin ricercatore presso il Council on Foreign Relations, esperto di Afghanistan:
http://www.cfr.org/bios/115/dr_barnett_r_rubin.htmlBavid Kilcullen, ufficiale australiano esperto in contro insorgenza, consulente del generale Petraeus e di Condoliza Rice, il vero architetto della surge in Iraq; ora ricercatore presso il think thank democratico Center for a New American Security:
https://app.e2ma.net/app/view:CampaignPublic/id:21342.1500655492/rid:17d610d590d306c8a63ad0199cfb66d92) I nuovi think thank di riferimento del presidente Obama sono due, come già notato dal Foglio. Il Center for a New American Security (
http://www.cnas.org/) fondato da Michele Flournoy, esperta di strategia e sicurezza nazionale, e da Kurt M. Campbell. Il Centro vede la partecipazione tra gli altri di John Nagl, già colonnello dei marines in Iraq, esperto di contro insorgenza, autore di un importantissimo libro “Learning to eat a soup with a Knife” (citazione di Lawrence d’Arabia, metafora per illustrare il lavoro di Sifiso di combattere un’insorgenza), coautore del nuovo manuale dedicato alle small wars (The U.S. Army/Marine Corps Counterinsurgency Field Manual del 2007) alla base dell’opera di Petraeus.
Per sapere qualcosa sui presupposti della politica in Iraq si veda il report
Shaping the Iraq Inheritance di Colin Kahl, Michele A. Flournoy, Shawn Brimley (11 giugno 2008 scaricabile
http://www.cnas.org/node/117).
La tesi qui espressa è che gli USA piuttosto che offrire un aiuto incondizionato al governo iracheno a prescindere da ogni progresso reale verso una pacificazione nazionale, dovrebbero offrire un supporto condizionato, collegando il loro impegno a passi verso la soluzione delle situazioni conflittuali quali il contenzioso sullo status della città di Kirkuk, l’asssetto istituzionale, la legge sulla distribuzione delle rendite petrolifere ecc.
Molto più netta invece è la proposta avanzata dall’altro pensatoio democratico, il Center for American Progress
http://www.americanprogress.org/ , fondato nel 2003 da John Podesta, capo dello staff di Clinton, che nel report “Iraq’s Political Transition After the Surge”
Brian Katulis, Marc Lynch,
Peter Juul del 10 settembre del 2008 (
http://www.americanprogress.org/issues/2008/09/iraq_transition.html), sostiene la tesi che la nuova situazione di sicurezza prodotta dalla surge, invece di favorire la riappacificazione tra le etnie e tra i vari gruppi religiosi, ha finito per congelare la situazione che potrebbe da un momento all’altro esplodere di nuovo.
3) Mercoledì 29 ottobre (vecchio ma trovato pochi giorni fa e comunque di ottimo livello) un articolo di Anthony Cordesman - docente al http://www.csis.org Center for Strategic and International Studies nonché consigliere di Mc Cain e autore di più di 50 pubblicazioni sul Medio Oriente, la sicurezza nazionale e questioni di strategia, su The Washington Times intitolato “Analysis: success in Iraq hinges on more then troops, costs” - dove sostiene che:
1 gli Stati Uniti non hanno abbattuto Saddam Hussein per sconfiggere con la surge Al Qaida (infatti prima della guerra quell’organizzazione non c’era);
2 il futuro dell’Iraq non è nelle mani di Washington;
3 la sconfitta di al Qaida e di ogni insorgenza non è una vittoria strategica;
4 l’Iraq dovrà affrontare un decennio di conflitti e aggiustamenti riguardanti la partizione del potere tra Arabi, Curdi e le altre minoranze;
5 le appartenenze religiose rappresenterà ancora per molto tempo un fattore centrale di divisione e di causa di violenze;
6 i paesi vicini, dalla Turchia verso i curdi all’Iran verso gli sciti, useranno ogni mezzo per esercitare la loro influenza;
7 invece di essere da esempio verso la strada della democrazia, l’Iraq corre il rischio, dopo cinque anni di caos, miseria, morti, pulizie etniche e profughi, di rappresentare un modello di rinascita autoritaria o (8) di diventare uno stato religioso diviso tra sciti e sunniti;
9 la nuova amministrazione può provare a influenzare le decisioni in Iraq attraverso una cooperazione non impositiva con il governo di Bagdad (in questa direzione va ad esempio il nuovo accordo o SOFA di lunedì scorso, ndr); una politica di sostegno economico sociale (state building ndr) verso l’Iraq e, in ultimo, una politica di coinvolgimento degli stati confinanti, dalla Siria all’Iran cercando l’aiuto delle agenzie internazionali come l’ONU e degli alleati.
4) Qualche dato. Il budget della difesa è cresciuto dal 2001 ad oggi del 35% passando da 375 miliardi di dollari a 505 miliardi e gli USA si somandano se ne vale la pena visti i costi della crisi: 10.2 trilioni di dollari di debito e 700 milioni spesi nel salvataggio delle banche (Lawrence Korb – assistente al segretario alla difesa durante la presidenza Regan -, R. Warren Langley, The Wall Street Journal, 13 novembre 2008, “We need a smart defense policy, not a gold-plated one”.
5) E’ uscito giovedì a cura del National Intelligence Council il report Global Trends 2025
http://www.dni.gov/nic/NIC_2025_project.htmlDisegna preoccupanti scenari:
“The whole international system—as constructed following WWII—will be revolutionized. Not only will new players—Brazil, Russia, India and China— have a seat at the international high table, they will bring new stakes and rules of the game.
The unprecedented transfer of wealth roughly from West to East now under way will continue for the foreseeable future.
Unprecedented economic growth, coupled with 1.5 billion more people, will put pressure on resources—particularly energy, food, and water—raising the specter of scarcities emerging as demand outstrips supply.
The potential for conflict will increase owing partly to political turbulence in parts of the greater Middle East.”
Entrando nello specifico alle zone di guerra, “l’ Afghanistan rimarrà essenzialmente un paese tribale” e si dovrà confrontare con continui conflitti. Il futuro dell’Iraq non appare molto migliore sempre scosso da rivalità tribali, etniche e settarie cosi nell 2025 “il governo di Baghdad potrebbe ancora essere oggetto di competizione tra le varie fazioni indirizzate più alla ricerca di gloria e aiuti stranieri piuttosto che verso la costruzione di una autorità politica autonoma, legittima e di una politica economica vera e propria”.
6) Comprendere le mosse degli ayatollah di Tehran non è facile, ma dall’esegesi dei loro movimenti dipende la stabilità dell’intera area. La prima questione riguarda ovviamente, prima della consistenza delle minacce di distruzione rivolte ad Israele, la verifica della razionalità della leadership iraniana, se cioè davanti abbiamo un attore che opera in modo razionale o ideologico. Questo passaggio è necessario per arrivare poi alla decifrazione delle sue “vere” intenzioni: rivalsa scita? Ricerca di un ruolo regionale alla luce delle memorie imperiali? Costruzione di una teocrazia regionale ed esportazione della rivoluzione? Leader di tutti i mussulmani contro l’occidente e quindi alla ricerca della distruzione del piccolo e grande Satana?
Da come si risponde a queste domande, deriva la possibilità di disegnare una strategia appropriata che sappia utilizzare gli strumenti noti: deterrenza, prevenzione, contenimento ecc.
Per disporre di qualche strumento, ecco allora un documento elaborato dal Combating Terrorism Center at West Point, “Iranian Strategy in Iran. Politics and “Other Means”
http://www.ctc.usma.edu/Iran_Iraq.asp
Autori del report due ufficiali del Centro suddetto che hanno passato l’estate in Iraq a raccogliere informazioni sul campo (trascrizioni di interrogatori di prigionieri, rapporti declassifcati dei servizi iraniani in mano all’intelligence della coalizione, documenti della resistenza iraniana anti ayatollah ecc.) da confrontare poi con la letteratura scientifica. Scopo del paper è disegnare il contesto storico e politico per inquadrare, e contrastare, i due fenomeni più caratteristici dell’azione iraniana verso l’esterno: il sostegno a gruppi terroristici e la corsa a dotarsi di armi nucleari.
Il paper parte dalla constatazione che dal 2003 l’Iraq è diventato il campo di azione di tre attori esterni, Stati Uniti, al Qaida e Iran che hanno cercato di determinare con tutti i metodi gli eventi di quel paese. Tra tutti, per rapporti storici, l’Iran è sicuramente quello che ha raccolto più frutti.
Ecco i punti salienti dello scritto:
1 L’Iran ha una doppia modalità di tenere i rapporti con l’Iraq:il primo legale, politico religioso con tutte le organizzazioni e partiti sciti come l’Islamic Supreme Council of Iraq (ISCI), il partito Badr e Dawah e allo stesso tempo, tiene contatti stretti con le milizie scite di Motqada al Sadr ed i Gruppi speciali, fornendo loro armi e addestramento tramite il Corpo iraniano delle Guardie rivoluzionarie e la Forza Qods .
2 Data la storia dei due paesi, l’influenza iraniana in Iraq è inevitabile.
3 All’inizio dell’invasione americana, l’Iran ha collaborato con le forze statunitensi.
4 Il caos generato in questi anni ha focalizzato l’attenzione internazionale sugli Stati Uniti, ma ha nascosto l’operato iraniano.
5 Ora l’Iran può contare su tre obiettivi raggiunti:
gli USA non possono usare l’Iraq come base da cui sferrare un attacco all’Iran,
gli alleati iraniani sono al potere a Baghdad,
la forma federale scelta dal governo iracheno favorisce le mire espansionistiche iraniane verso il sud scita ricco di giacimenti petroliferi.
6 Se è vero che i partiti sciti iracheni hanno rapporti stretti con l’Iran e le loro milizie sono addestrate e finanziate da quelle iraniane, è anche vero che appartenenza religiosa e aiuti militari non sono sinonimo di dipendenza politica.
7 Gli Stati dovrebbero quindi:
contrastare non solo le milizie appoggiate dall’Iran, ma approntare una strategia che si confronti con l’influenza iraniana complessivamente definendo quali elementi sono accettabili e quali da respingere,
sviluppare un’azione coordinata sia sul piano diplomatico che economico verso l’Iran,
incoraggiare le azioni di rafforzamento anti iraniano compiute da al-Maliki che pure viene dall’ala pro-iraniana del partito Dawah,
offrire a Moqtada al-Sadr incentivi per partecipare alla vita politica pacifica,
cercare un supporto internazionale per bloccare le attivià illegali iraniane in Iraq.
7) Sull’Occidentale, un commento del sottoscritto sull’accordo tra Stati Uniti e Iraq.
http://www.loccidentale.it/articolo/americani+e+iracheni+raggiungono+un+accordo+ma+che+succeder%C3%A0+dopo+il+ritiro%3F.0061918