mercoledì 25 febbraio 2009

“Il New Deal non è un buon esempio”

“Non è stato il New Deal a far uscire l’America dalla Grande Depressione del ’29, ma la Seconda Guerra Mondiale”.
Questa è la forte, e vera tesi, di Michael Barone, giornalista e commentatore neoconservatore autore dell’ annuale “The Almanac of American Politics”, in un articolo del 17 febbraio e pubblicato sul sito neoconservatore dell’American Enterprise Institute. La conclusione è ovvia: attenti alle politiche interventistiche!
Dopo otto anni di New Deal, la disoccupazione rimaneva al 15%; solo la guerra fece crescere gli occupati da 44 milioni nel 1938 a 65 milioni nel 1944. Così non potrebbe essere saggio copiare le misure statalistiche del New Deal come cura per l’attuale crisi, anche perché non esistono mai due crisi uguali. Ma la fama della politica economica di Roosvelt è dura ad essere smitizzata e specialmente i democratici pensano che essa abbia funzionato fino alla fine degli anni sessanta. Secondo Barone, il quadro di quegli anni è molto più complicato e il successo elettorale nel 1934 e ‘36 dei democratici in molte città, prima repubblicane, va attribuito non ai successi economici, ma alle politiche filo sindacali del partito delll’asinello. Ma il legame con le Trade Unions e i programmi di assistenza vennero spesso denunciati come qualcosa di poco limpido, al limite della corruzione e infatti nelle elezioni del 1938, i Democratici persero 81 seggi alla camera, 51 dei quali nella cintura industriale dalla Pennsylvania fino al Midwest passando per New York e così passò ai repubblicani anche le zone da dove era partito lo sciopero dei lavoratori dell’auto del 1937.
Anche al Congresso, a causa dell’opposizione di molti deputati democratici del Sud oltre a quelli repubblicani, le politiche del New Deal incontrarono una forte opposizione e spesso venivano bocciate.
Con la guerra, le cose cambiarono completamente: la vittoria del democratico Roosvelt è certamente da attribuirsi ai difetti dello sfidante, l’inesperto Wendel Wilkie, che ai successi economici, ma l’elettorato aveva giustamente capito che l’America aveva bisogno di un presidente con esperienza internazionale.
“Dal mio punto di vista –continua Barone- furono gli sforzi bellici, la mobilitazione di massa, l’allargamento delle funzioni del governo, la produzione altrettanto di massa con l’estensione del fordismo a tutti i settori, più che il New Deal, a risollevare le sorti dell’America. L’orgoglio della vittoria, la fiducia nello stato e nel governo che essa aveva diffuso, contribuì a creare un mito composto, come sempre, di verità e bugie, di cui i democratici si impossessarono, e che fece accettare agli americani politiche che negli anni ’30 avrebbero sdegnato”.
Conclusione: l’esempio del New Deal deve rimanere un caso isolato e le soluzioni per la crisi attuale sono tutte da trovare. "

Pubblicato su RagionPolitica martedì 24 febbraio 2009

Nessun commento:

Posta un commento