giovedì 3 giugno 2010

Israele e i “pacifisti”

Il Secolo d'Italia 3 giugno 2010

Israele ha ragione. Sono dei falsi pacifisti, stanno conducendo una guerra sotto mentite spoglie. Hamas sta tranquillamente nella cabina di regia delle navi turche. Violare un blocco navale ha delle conseguenze gravi che solo degli incoscienti e irresponsabili, sempre pronti ad alzare il ditino di condanna, non considera. E i paesi occidentali e europei, con la stampa in prima linea, subito pronti e proni a far propria la versione di Hamas. Per questo gli amici di Israele devono proprio adesso far sentire la propria voce,

Tutto vero, ma non basta aver ragione, non serve a niente. Le guerre asimmetriche, le guerre moderne - quelle che vedono schierate le truppe di una paese democratico contro milizie irregolari a metà tra l'esercito, bande organizzate e militanti di partito, nuovi combattenti che si nascondono tra la gente – i conflitti contemporanei hanno una caratteristica terribile. Si perdono e si vincono non sul piano militare, sul campo cioè, ma su quello strategico dove la partita si gioca con tutti i mezzi. L'attore militarmente più debole, i palestinesi e Hamas, non farà altro che ricercare lo scontro non certo sul terreno militare dove Israele è infinitamente più forte, in tecnologia, sistemi d'arma e organizzazione, ma cercando di indebolire la volontà dell'avversario attraverso l'isolamento diplomatico internazionale, la rottura del suo fronte interno, la conquista dell'opinione pubblica mondiale. E'stato così in ogni guerra asimmetrica o "tra la gente" dal dopoguerra ad oggi. E i primi maestri nella gestione della opinione pubblica internazionale e del livello diplomatico contrapposto alla forza materiale furono proprio degli arabi, quel Fronte di Liberazione Nazionale algerino che, sconfitto sempre sul campo, seppe far dimenticare, grazie all'aiuto dei parà francesi e dei loro discutibili metodi, gli orribili massacri di coloni e la distruzione dei villaggi degli oppositori. E poi arrivò il Vietnam con la stampa mondiale schierata a fianco dei vietcong pronta a non vedere gli orrori compiuti dai comunisti. Ma serve a poco scagliarsi contro le nuove regole del gioco. La verità vera è che la forza e solo un ingrediente, uno strumento, certo necessario, ma uno dei tanti. L'uso dei civili, il farsi scudo di donne e bambini inermi, costringere il nemico ad utilizzare sempre più metodi disumani e contrari al diritto internazionale, in contrasto con la coscienza di un paese democratico, è una precisa strategia degli avversari asimmetrici. Lo scopo è far cader in contraddizione l'avversario, costringerlo a vergognarsi di se stesso, dividere la popolazione del nemico, separare il governo dagli elettori, l'esercito dal suo popolo. Scopo dei vietcong, del FLN, di Hamas, di Hezbollah è solo l'isolamento del proprio avversario, attraverso un rovesciamento sapiente di ruoli. Questo è l'obiettivo più importante, dopo quello della difesa, che Israele deve contrastare con tutti i mezzi, rifiutando per quanto è possibile di cadere nelle provocazioni che non fanno altro che approfondire quella frattura morale dove i terroristi sguazzano.

E' sul fronte dei media, della diplomazia, di chi costruisce il consenso internazionale, che si svolge la battaglia strategica, non sul piano militare dove è necessario per Tel Aviv solo non perdere, e il fronte è molto più grande e complesso di poche migliaia di chilometri. Ed è su questo fronte che l'iniziativa dei commandos della marina e di chi li ha mandati era completamente sbagliata. Che senso aveva, cosa Israele voleva dimostrare? Certo nessuno vuole insegnare ad un paese che lotta da sempre per la propria esistenza, ad un popolo che è stato costretto a dimostrare con le armi il diritto alla sopravvivenza, cosa è bene e cosa è male; nessuno meglio di loro lo può sapere. Ma se questa osservazione prudenziale vale sul piano delle motivazioni profonde, e quindi ci porta a guardare con rispetto anche le tragedie come questa, non si può non affrontare sul piano razionale il piano dei rapporti tra palestinesi e israeliani. Questo conflitto non ha una natura solo militare, ma l'aspetto politico attraversa ogni momento e accompagna passa passo le relazioni di forza: vedere sempre e solo l'aspetto miolitareè sbagliato, perché controproducente.

Dopo quello che è successo, che ci ha guadagnato Israele? Un ennesima discussione su chi ha ragione e chi ha torto? Uno scontro diplomatico con la Turchia, la freddezza di Washington, la reazione della pavida Europa? Le manifestazioni dei soliti pacifisti? Lo sciopero generale dei territori?

Se una lezione è importante da capire, è che non basta avere ragione, bisogna sapersela conquistare e difendere e che i consenso è a volta più importante della vittoria sul campo. Se la verità di Israele è che è Hamas a non volere la pace, che non è un problema di territori occupati, come dimostra la stessa restituzione di Gaza, adesso sarà solo molto più difficile convincere l'opinione pubblica mondiale con il risultato di far sentire la terra di David sempre più isolata. Per questo in un momento così difficile gli amici devono dire ad Israele che sta sbagliando.

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