venerdì 8 gennaio 2010

Egitto, Gaza e Yemen. Non è che l’inizio del 2010

Nella lotta contro il terrorismo jahdista, appena le cose sembrano andare bene, o per lo meno meglio, da una qualche parte, ecco che subito si apre una voragine da un'altra. Ecco che arrivano le notizie dallo Yemen, della strage di cristiani dall'Egitto, degli scontri a Gaza tra Hamas e forze di sicurezza egiziane.

Fatti diversissimi tra loro distanti migliaia di chilometri sono in realtà uniti da un filo rosso comune: la matrice religiosa dei responsabili delle azioni e la violenza quale metodo politico. Il fatto più grave tra tutti, ma anche quello che spiega ogni cosa, è l'assassinio feroce e gratuito dei cristiani copti dovuto ad un odio selvaggio che la dice lunga sulla volontà di annichilimento degli estremisti islamici. Se ancora qualcuno non lo avesse capito, i nemici da uccidere e sottomettere siamo noi, è l'occidente cristiano e giudaico; da eliminare assieme ai governi arabo mussulmani secolari e apostati come quello egiziano. Tragico destino quello dei cristiani in Medio Oriente a cominciare dall'Iraq e grave risulta essere il silenzio colposo della vile Europa, sempre pronta ad alzare la voce in difesa di qualche minoranza super protetta a casa nostra, ormai diventata anche potente lobby ,e distratta invece quando si parla della difesa della nostra tradizione ormai minoranza.

Le violenze egiziane però la dicono lunga anche sulla fragilità delle istituzioni di quel paese che, finita l'epoca del nazionalismo panarabo, stenta a trovare una propria via tra modernità e tradizione e che ancora è sulla soglia di una realizzazione completa della democrazia. Compito non certo facile, specialmente se lo si affronta con una economia non certo florida e con profondi squilibri sociali, ma il nodo dell'assorbimento di gran parte dei movimenti tradizionalisti e fondamentalisti entro una dialettica democratica e pacifica è la chiave di volta per uscire, in un processo lungo e faticoso, dalla crisi post nasseriana.

Anche lo Yemen porta le cicatrici di una storia lunga e difficile attraversata da tutte le contraddizioni del 900, la decolonizzazione, il sogno del nazionalismo arabo, il miraggio del socialismo per ricadere nella morsa delle sue ataviche contraddizioni, in una lotta tra clan, etnie, religioni, tra sciti e sunniti, tra Iran e Arabia, tra Al Qaida e gli Stati Uniti. Qui l'America si trova ad affrontare un ginepraio non facile perché deve destreggiarsi contemporaneamente tra due nemici: se da parte di Bin Laden, come nel caso dell'11 settembre, provengono gli attentatori alla sicurezza nazionale, il pericolo strategico regionale più grande avviene ad opera del'Iran , in grado di destabilizzare tutta la regione.

Per paradossale che possa essere, la situazione migliore è rappresentata dalla questione palestinese, compresa la striscia di Gaza, dove Israele è riuscita sul piano militare a trovare una soluzione contro il lancio dei missili e contro gli attentati suicidi della seconda intifada. Si obietterà che non "la" soluzione; è vero perché sul tappeto c'è la questione dello stato palestinese, l'aspetto simbolico del problema, il mantenimento di una piaga purulenta che infetta ogni discorso sul Medio Oriente, ma il muro tanto criticato dalle anime sensibili occidentali e l'azione contro Gaza nel 2009 hanno prodotto uno status quo che non mette in pericolo Tel Aviv, e questo risultato, nel caotico mondo medio orientale, non è un fattore di poco conto. Che le misure israeliane abbiano funzionato, lo dimostra il fatto che alcune di esse, come la costruzione del muro, sia stata ripresa dall'Egitto per fermare il continuo contrabbando, dalle armi ai generi di lusso, tra i due paesi. Si può obiettare che i traffici illeciti esistono perché mancano prima di tutto i generi di prima necessità a causa del blocco israeliano e questo è vero, ma non si tiene conto del punto di partenza: l'assoluta mancanza del principio di realtà del mondo arabo, precedente al'avvento del fondamentalismo. Da Gaza Israele è andata via lasciando serre e fabbriche, perché distruggere tutto e riniziare a vivere in una economia di guerra dove ad arricchirsi sono sempre i soliti?

Il punto di partenza per ogni ragionamento sulla pace, che può anche per retorica e consenso rimanere nascosto e non detto, sta proprio nella necessità di riconoscere in tutti i casi lo stato dei fatti, l'esistenza dello Stato Israeliano, l'impossibilità di ricostruire il califfato mondiale come l'impossibilità di uscire dalla modernità. Altrimenti il futuro che ci resta davanti è rappresentato da una gestione delle crisi medio orientali in un equilibrio tra azioni militari e politiche, cercando di tenere sotto il livello di guardia e bilanciandosi tra interventi di state building ,come nel caso dell'Afghanistan e dell'Iraq, e interventi mirati come ora in Yemen. Equilibrio non facile.

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