Guerra simmetrica e ruolo della religione
Incominciamo con un documento molto importante, Religion and Resistance: Examining the Role of Religion in Irregular Warfare per l'originalità della riflessione che di solito, e stranamente, manca nei consueti trattati militari che affronano di sfuggita il ruolo della religione nella guerra asimmetrica. Questa critica vale anche per la nuova Bibbia dell'esercito americano, il Counterinsurgency Field Manual del 2006 a cura degli ufficiali laureati di Petraeus, da Kilcullen a Nagl. E' ad opera dei militari canadesi, uno degli eserciti più attenti ed esperti in missioni altre dalla guerra convenzionale; non è un documento nuovisimmo (marzo 2009) ma appunto è originale e utile, perché teso a colmare il vuoto della tradizionale sottovalutazione della funzione della religione come fattore di coesione sociale, elemento pesante che fonda, o per lo meno influenza, anche tutti gli altri ambiti di vita. D'altronde è ben strana questa mancanza, dato appunto il carattere delle maggioranza delle insurrezioni post guerra fredda, dove il carattere religioso ha soppiantato la motivazione ideologico politica che pure disponeva di una forte componente spirituale, anche se travisata.
Guerra moderna e Al Qaida
Philip Bobbit è un filosofo della politica e studioso di questioni militari di cui abbiamo già parlato per i suoi due celebri libri, The Shield of Achilles (Lo scudo di Achille) e Consent and Trerror
entrambi sulle trasformazioni della guerra e il significato del terrorismo nel XXI secolo.
Adesso sul settimanale NewsWeek ha scritto un pezzo 9 imperativi nella lotta contro il terrorismo nel mondo post 11 settembre. Nell'attuale dibattito che si è aperto in USA dopo gli ultimi tentativi terroristici e che hanno visto polarizzarsi le posizioni a favore e contro Obama, troppo morbido con i terroristi oppure ancora seguace della linea Bush-Cheney, Bobbit estrae una tesi niente male. L'amministrazione Bush aveva ragione a valutare il vecchio status quo legislativo inadeguato davanti alle nuove sfide lanciate da Al Qaida, ma ha peccato di "decisionismo emergenziale" (l'espressione e mia) perché si è rifiutata di far passare i nuovi atti (tra cui intercettazioni telefoniche, detenzione preventiva) attraverso la discussione del Congresso. Ora per Bobbit la lotta contro il terrorismo moderno è essenzialmente una lotta di legittimazione e di diritto. Nella lotta contro nemici non statali – che non è contessa nè per il territorio né per la conquista di risorse naturali - il significato di vittoria va al di là della sconfitta del nemico, ma significa difesa dei civili nel rispetto della legge. Ed è quello che ha fatto Petraeus in Iraq. "Se le leggi sono inadeguate, esse vanno adattate al nuovo contesto strategico".
Sempre sullo stesso periodico, vi è un altro notevole articolo (ma perché i direttori italiani non imparano?) sul significato di "vittoria" nelle guerre moderne, Addio alla vittoria. Una volta le guerre finivano con vincitori e perdenti, adesso si sono complicate. E' un articolo complementare al precedente e basandosi sulle tesi della studiosa della Columbia Page Fortna sostiene che, se sempre "la guerra come l'amore è più facile da iniziare che da finire", adesso nell'epoca post guerra fredda le guerre moderne, dati alla mano, nella loro grande maggioranza non riescono a terminare mentre dal 1816 al 1948 la percentuale era molto superiore: più del 50%. Perché? Perché è cambiata la guerra, perché gli stati più forti non traducono la loro superiorità militare in quella militare impediti da un quadro legale e morale, nazionale e internazionale, completamente diverso da quello di cinquanta anni fa, perché poche sono le guerre simmetriche, perché cambiate son o le motivazioni per cui si va in guerra ecc.
USA
Lo stato dello stato: una proposta per la riorganizzazione di Foggy Bottom. E' uno studio proposto dal PPI, Progressive Policy Institute; Foggy Bottom è il nome del Dipartimento di Stato che prende il nome dal quartiere dove sorge a Washington. Il problema a cui l'Amministrazione Obama è chiamata a rispondere è per niente semplice: da una parte a causa dell'11 settembre si è assistito ad un crescendo di compiti e allo stesso tempo ad una militarizzazione degli interventi, dall'altra la globalizzazione e la rivoluzione informatica hanno reso obsoleta la vecchia struttura piramidale.
Lawrence Korb, assistente al segretario alla difesa nell'amministrazione Regan, sottolinea, con ragione, nell'articolo I generali dovrebbero essere guidati dalla verità, non dalla politica
un punto centrale nella divisione del lavoro tra politici e militari, ma si potrebbe dire tra politici e tecnici. Gli esperti del settore non devono prendere decisioni politiche, non spetta a loro, ma nemmeno forzare la realtà per compiacere la politica. I generali hanno il compito di dire le cose come stanno, anche se sono spiacevoli e a questo proposito riporta una serie di esempi. Per venire ai nostri giorni, i comandanti in Afghanistan precedenti a Mc Crystal hanno fatto quello che hanno potuto con i mezzi messi loro a disposizione, con quelle forze sul campo non potevano aver ragione del nemico.
Yemen
Frederik Kagan e Cristopher Harnisch commentano sul Wall Street Journal la situazione in Yemen dove il governo locale deve far fronte a due insorgenze diverse, Al Qaida e le popolazioni scite al nord appoggiate dall'Iran e contrastate dall'Arabia.Ora viste le simpatie, i rapporti tribali, religiosi e ideologici con Al Qaida, il governo di Sana percepisce come nemico principale gli irredentisti sciti e l'espansionismo regionale di Theran, mentre per gli Sati Uniti e per l'occidente ovviamente il pericolo maggiore è esattamente l'opposto o per lo meno i due nemici non sono barattabili. Allo stesso tempo è chiaro che gli USA non possono intervenire con truppe e iniziare guerre in ogni angolo del mondo. Kagan propone una soluzione semplice: se lo Yemen vuole essere aiutato contro l'Iran, deve allora impegnarsi nella lotta contro Al Qaida, iniziando ad epurare i suoi mal messi servizi segreti, Come applicare lo 'smart power' in Yemen, appunto.
Afghanistan
Brezinski, il grande vecchio della politica americana, iper critico con tutta la politica di Bush contro la guerra al terrorismo mondiale, ha rilasciato una lunga intervista televisiva sulla guerra afghana. Data la rilevanza del personaggio, merita di essere ascoltata (prima e seconda parte).
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