sabato 25 aprile 2009

Appunti internazionali n° 2 , 24 Aprile 2009


Afghanistan
In questo numero, il martoriato paese occupa uno spazio centrale.
Subito l’ultima notizia: il Segretario di Stato Hilary Clinton commenta preoccupata gli ultimi avvenimenti dall’Afghanistan dove i Talebani hanno occupato due città a sud di Kabul: si è lamentata del comportamento ‘arrendevole’, per usare un eufemismo, del governo afgano e dell’esercito. Appena pochi giorni fa, Hilary Clinton aveva accusato anche il governo pakistano“di aver abdicato agli estremisti”. (Anche i democratici sono preoccupati del troppo attivismo, della nuova “surge” in quel paese, che contrastano con le loro affermazioni pacifiste).
Segue un articolo che descrive bene il tipo di guerra che i paese occidentali combattono, dal titolo eloquente, e pessimistico, “Lawrence d’Afghanistan e la possibilità persa di avere il sopravvento sui combattenti talebani “. Negli anni scorsi i britannici furono duramente criticati dagli americani per i loro contatti con gruppi di insorgenti, ma “la dottrina era semplice: dividi il tuo nemico, impegnati con quelli che possono essere riconciliati, uccidi o cattura quelli che non lo possono”. Questo modus operandi sembra aver dato i suoi risultati se ben 5000 combattenti ex talebani sono passati dalla parte dell’alleanza.
La nuova strategia sembra quindi funzionare; a dimostrazione anche i successi su di un nemico acceso come il clan Hakkani, vicino ad Al Qaida. Di solito in Italia si pensa che esista solo Al Qaida e i Talebani, ma la situazione è molto più complessa. “Il network Haqqani è uno dei tre maggiori gruppi insorgenti con i talebani e Hizb-i-Islami-Gulbuddin (HIG). Tra questi, sono gli Haqqani ad aver orchestrato la maggioranza degli attentati suicida a Kabul e ad avere un’influenza significativa nelle province del sud. Nei suoi ranghi, il gruppo conta molti combattenti stranieri ed è molto più vicino ad Al Qaida. Questa rende il clan molto più estremista, anche perché il suo leader, Jalaluddin Haqqani, fu un influente comandante mujadeen e alleato degli USA durante la guerra con i sovietici. Più tardi servì come ministro nel governo dei Talebani…Dopo il 2001, passò in Pakistan dove costruì il suo network che emerse come gruppo insorgente indipendente alleato con i talebani”.
Uno dei maggiori problemi però che gli americani si trovano ad affrontare è costituito dalla doppiezza, ambiguità, falsità con cui agisce il governo di Kabul che, da una parte, dice di essere addirittura contrario ai contatti, dall’altro con questa scusa si permette di denunciarli prima che avvenissero, mettendo a grave rischio il successo dell’operazione e la vita dei mediatori, tra cui un leggendario irlandese, già operatore della ONG Oxfam. Questa è una delle tante storie che si possono leggere nel libro di David Loyn, "Butcher and Bolt - Two Hundred Years of Foreign Engagement in Afghanistan" che uscirà a settembre. Il giornalista pone molti quesiti, tutti centrati. Come hanno potuto gli impopolari Talebani riemergere dopo la sconfitta brutale del 2001; se vi sia qualcosa nel paese, e nella natura profonda del suo popolo, che fa sì che esso sia così refrattario a qualsiasi conquista; perché l’Afghanistan, una volta conquistato, sia così difficile da tenere; che cosa succeda sotto la superficie di una delle società più complesse al mondo; perché le riforme, tante volte annunciate, non siano mai state prese; perché gli invasori sembra non abbiano imparato niente da chi li ha preceduti nella medesima impresa e ripetano sempre gli stessi errori. Ma in fondo la coalizione deve ancora dare una risposta sensata alla domanda posta due secoli fa da un Kahn locale agli inglesi: “Avete portato il vostro esercito nel paese, ma ora come pensate di uscire da qui?”. David Loyn giustamente mette in risalto la quantità di attori stranieri che operano in Afghanistan per raggiungere i propri interessi, al di là magari di trovarsi a fianco degli americani. In primo luogo vi è il Pakistan che cerca di rafforzare la sua posizione contro l’india e quindi incoraggia il fondamentalismo sunnita nel Kashemir (ma in questa parte del mondo i confini sono inesistenti) anche se è alleato dei Talebani; poi ci sono i Sauditi che continuano a disseminare il paese di Madrassah sia in Pakistan che in Afghanistan (a questo proposito si legga il bel libro “Tre tazze di tè” di Greg Morrison, Rizzoli). Presenze inquietanti tra cui si trovano anche gli avversari degli Stati Uniti: l’Iran innanzitutto acerrimo nemico di qualsiasi regime sunnita, che opera nelle regioni confinanti abitate dalla minoranza scita. Sullo sfondo, la Russia alla ricerca, come nel Grande Gioco kiplinghiano, di raggiungere un’influenza in Asia Centrale, possedendo una formidabile arma di ricatto nei confronti dei paesi occidentali quale il controllo dei passi a Nord da cui transitano rifornimenti sicuri per gli eserciti alleati.
Il generale Petraeusin, in un discorso alla Harvard University’s John F. Kennedy School of Government a Cambridge, nota le differenze tra le guerre in Iraq e in Afghanistan e sottolinea come la pace “ sia raggiungibile, ma non usando le stesse strategie che hanno condotto ad un punto di svolta in Iraq”. La prime ovvie risiedono nella geografia: il paese dell’Asia centrale non dispone di risorse naturali, ed è chiuso, incassato tra le montagne con villaggi sparsi; la seconda è istituzionale, dato che non ha mai visto un governo centrale forte. Ma la guerra in Afghanistan, a differenza di quella in Iraq, ha avuto un sostegno internazionale esteso e quindi il conflitto non è unilaterlae non coinvolgendo, per lo meno idealmente, solo gli americani. E questo è senza dubbio un punto di forza.
Anche se il governo di Kabul afferma che non ci sono santuari di Al Qaida nel paese, vi è da registarer una dichiarazione di Ayman al-Zawahri, numero due di Al Qaida: “quello che Obama sta facendo con l’aumento delle sue truppe è soltanto di buttare benzina sul fuoco che sta bruciando”.
Il punto di vista del governo afgano è spresso nell’intervista condotta da Farred Zakaria, al presidente afghano e Richard Holbrooke. Tra le altre cose interessanti, si noti l’esilarante risposta a proposito della legge che sancisce la differenza tra i sessi, punisce le donne per adulterio, le costringe a chiedere al marito il permesso per uscire di casa, legalizza lo stupro tra le mura domestiche “Questa legge è stata firmata (da lui stesso, ndr.) senza conoscere gli articoli che conteneva. E’ una legge enorme che contiene molti articoli”. Comunque il presidente ha sostenuto, sempre nella stessa intervista, di non volere interferenza straniere riguardo agli affari interni. Certo è che anche gli americani sembra che cadano nell’errore opposto e moralizzino veramente troppo, come non fecero né in Germania, né in Italia, né in Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale. Infatti l’intervistatore chiede con il sopracciglio alzato, se il presidente è disposto a intraprendere negoziati con il mullah Omar e quest è la rispsta: ovviamente sì.
Per chi vuole approfondire, ecco l’ultimo report sulla situazione afgana del Center for American Pogress che partendo da un’analisi della situazione attuale non certamente buona, stabilisce per gli americani e i suo alleati, tre obiettivi generali estremamente realistici: assicurare che l’Afghanistan non diventi un santuario di nuovo per il terrorismo internazionale da cui possa lanciare attacchi in ogni parte del mondo, prevenire un vuoto di potere nel paese che potrebbe destabilizzare anche il Pakistan e l’inera regione, impedire che l’Afghanistan sia governato da forze estremiste come i Talebani.

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