Iran
L’Iran occupa le prime pagine di tutti i giornali da giorni quindi, come si dice, “è ben coperto” anche riportando commenti e analisi della stampa estera. Da qui la scelta di saltare la rassegna stampa. Lasciateci però qualche soddisfazione per il nostro lavoro di surfisti della rete. Un fumetto ironico e paradossale: “Perché non siamo rimasti a casa, invece di scendere in strada a protestare contro i risultati?”- domanda una manifestante scappando davanti ad un poliziotto. “Perché rifiutiamo l’american way of life”, gli risponde l’altro. Due cartine ben fatte che fotografano il voto regione per regione (fa impressione la differenza tra Ahmadinejad e Mousavi) e una seconda riguardo alle zone di contestazione del voto.
Qui il parere di Paul Wolfowitz il duro neocon contro il silenzio del presidente sui fatti iraniani, a cui si contrappone Kissinger a favore invece delle scelte di Obama: “Penso che (la scelta di non prendere posizione sulle vicende iraniane, ndr.) sia la scelta giusta; infatti il supporto all’opposizione potrebbe essere solo usata da Ahmadinejad contro Mousavi”.
Infine, è interessante rileggere gli sfondoni di un cosidetto grande intellettuale del pensiero antiautoritario, radicale di sinistra: Michel Foucault. Proprio sull’Occidentale, Davide Gianluca Bianchi riportava, un anno e mezzo fa, le analisi ‘sopraffine’ dell’autore di “Sorvegliare e punire”. Nei suoi “Taccuini persiani” pubblicate sul Il Corriere della Sera, all’epoca diretto da Franco di Bella, fra il settembre 1978 e il febbraio 1979 (ora raccolti nel libro omonimo edito da Guerini e associati, 1998) “Foucault, nell’intento di dare conto delle caratteristiche di questo tipo di ordinamento, afferma che “nessuno in Iran intende un regime politico nel quale il clero svolga un ruolo di guida o di inquadramento. Mi è sembrato che l’espressione fosse usata per designare due ordini di cose: un’utopia […]. Un’ideale […]. Per quanto riguarda le libertà, esse saranno rispettate nella misura in cui il loro uso non nuocerà al prossimo; le minoranze saranno «protette» e libere di vivere a modo loro, a condizione di non danneggiare la maggioranza; tra l’uomo e la donna non vi sarà «disuguaglianza», perché vi è una «differenza di natura». Per quanto concerne la politica, che le decisioni siano prese a maggioranza, che i dirigenti siano responsabili dinanzi al popolo e che ciascuno, com’è previsto dal Corano, possa alzarsi e chiedere conto a colui che governa”. Ricostruzione molto benevola del programma khomeinista, benevolenza che raggiungeva il colmo nella chiusa dell’articolo: “cercare, a prezzo della loro stessa vita [si riferisce agli insorti, seguaci di Khomeini], quella cosa che noialtri abbiamo dimenticato nel modo più assoluto, dal Rinascimento e dalle grandi crisi del Cristianesimo in poi: una spiritualità politica? Sento già degli europei ridere; ma io […] so che hanno torto”.
USA
L’Italia non si deve preoccupare in prima persona delle scelte relative né alla difesa nucleare, né a quella strategica, compiti delegati agli Stati Uniti. Questo dato di fatto si è tradotto nelle elitè, e di conseguenza nella opinione pubblica, in un disinteresse totale accompagnato dalla relativa ignoranza su tutti gli aspetti fondamentali di sicurezza. Ma la necessità di sapere è resa sempre di più dalla diffusione di simili armi in mani non troppo rassicuranti: l’Iran è a poche migliaia di chilometri, Hamas dispone già di missili potenti e di rampe di lancio mobili. Stati falliti, terrorismo internazionale, stati al di fuori delle regole della convivenza sono purtroppo una realtà sempre più frequente. Senza per altro dimenticarci dei classici competitors anti occidentali, Russia e Cina.
Un report “Missile Defense, the Space Relationship, and the Twenty-First century” , lunghissimo ma con una buona e efficace introduzione, elaborato da “Indipendent Working Group” sponsorizzato da un numero incredibile di centri (American Foreign Policy Council, Claremont Institute, Department of Defense and Strategic Studies, Missouri State University, Free Congress Research and Education Foundation, George C. Marshall Institute, The Heritage Foundation, High Frontier, Institute for Foreign Policy Analysis, Institute of the North) ci informa sulle nuove sfide e minacce a cui urge dare risposta attraverso una strategia a largo spettro di contro proliferazione che includa la difesa missilistica. “ Gli…scopi (del documento, ndr.) sono i seguenti: 1) esaminare le minacce in corso portate dalla proliferazione missilistica agli Stati Uniti, alle forze oltremare e contro i suoi alleati, 2) esaminare le necessità di una difesa missilistica nell’ambiente del ventunesimo secolo, 3) valutare il corrente programma missilistico alla luce delle opportunità tecnologiche in un mondo caratterizzato dal trattato ABM (trattato antimissili balistici del 1972, ndr),4) porre quattro raccomandazioni per un difesa missilistica robusta, stratificata, degli Stati Uniti”.
La causa di questa diversa ottica strategica tra i paesi europei, compresa l’Italia, e gli Stati Uniti risiede in una pluralità di fattori: dal ‘peso’ diverso, alla collocazione geografica, dalla storia alla cultura. Robert Kagan scrisse all’indomani dell’11 settembre un celebre libro “Paradiso e potere. America e Europa nel nuovo ordine mondiale” (Mondadori, 2003) dove si spiegava la diversa attitudine dei due continenti verso al guerra con una metafora efficace, Marte verso Venere (se volete Hobbes vs. Kant), dove la dea ha potuto permettersi di giocare il suo ruolo grazie, e sulle spalle, al dio della guerra americano. La diversità americana, di cui l’esempio più indiscutibile è la capacità di sopportazione alle perdite di migliaia di giovani vite (impensabile in un qualsiasi paese europeo, escluso forse l’Inghilterra), è certo dovuta al ruolo diverso di superpotenza, ma risiede anche nella cultura e nelle tradizioni di quel popolo contrassegnato da tre eventi durissimi: la guerra d’indipendenza contro la Gran Bretagna, la lotta combattuta non solo dai militari contro i nativi indiani, la guerra civile (dove perì il 2% dell’intera popolazione) definita la prima guerra moderna. In un lungo saggio su The American Interest, “Blood Brothers The Dual Origins of American Bellicosity “, lo storico esperto di strategia Stephen Peter Rosen ritorna sull’argomento. “Ciò che sembra ovvio riguardo a noi stessi diventa un puzzle se smettiamo di rifletterci. E’ ovvio alla maggioranza degli americani che gli Stati Uniti sono un paese amante della pace….Ma ciò che ovvio è sbagliato…Non solo gli Stati Uniti sono stati coinvolti frequentemente in guerre, la maggioranza delle quali sono del tipo diverso da quello suddetto: guerre aggressive, guerre civili e guerre imperiali”. Mi sembra che riprenda la tesi di Russel Mead in “Il serpente e la colomba. Storia della politica estera degli Stati Uniti” (Garzanti, 2005), in cui sostiene che accanto ad un anima isolazionista, ad una seconda definita “interventismo democratico”, inaugurata da Wilson ai tempi della prima guerra mondiale, ve ne è una terza dura e selvaggia attribuibile al presidente Jackson che risponde alla logica del colpo su colpo, dente per dente, occhio per occhio, in modo deciso, brutale che si è forgiata negli anni delle guerre indiane.
The American Interest nasce nel 2005 da una costola di The National Interest ed è diretto da Francis Fuuyama, l’ autore del famoso saggio e libro “La fine della storia”; ad esso collaborano, tra gli altri: Nial Ferguson, Andrew Bacevich, John Lewis Gaddis, Bernard henry Levy, Robert Kaplan, Walter Russel Mead, Ralph Peters. Si distingue per le sue posizioni conservatrici, ma critiche nei confronti della politica estera di Bush.
Avanza il “politicamente corretto” nella terra che lo ha inventato e ovviamente nelle Università. Un allarmato articolo è apparso sul New York Times a proposito del declino degli studi diplomatici, storici, strategici a favore della storia della cultura come i cosidetti “gender studies”, o relativi alle minoranze, immigrati ecc. “All’Università del Wisconsin, su 45 insegnamenti, uno riguarda la storia diplomatica, un altro la politica estera americana, 13 sono dedicati allo studio di genere, razza o etnicità, mentre l’unico specialista nell’impero degli Stati Uniti include la storia culturale come area di interesse. Per finire, il professore del dipartimento di studi internazionali ha centrato il suo corso sulle vittime dei genocidi!”
Continua il dibattito sui metodi di interrogatorio usati dopo l’11 settembre. Discussione non solo morale, ma che riguarda anche i delicati meccanismi di equilibrio tra poteri in una democrazia.
Sempre a proposito di minacce alla sicurezza nazionale, ecco i 132 modi per importare una bomba negli
Stati Uniti: aerei commerciali, cargo, containers, porti areoporti ecc. Una analisi impietosa dei punti nevralgici delle società aperte. Il rimedio ovviamente non è chiudere il paese, ma monitorarlo continuamente in tutti i modi fino a dotarlo di una rete di sensori, sensibili anche alle radiazioni.
Nord Corea
Continuiamo questo numero con un’ analisi delle minacce nucleari, campo in cui la Nord Corea occupa un posto di primo piano. Il fatto grave e nuovo, che aggiunge preoccupazione a preoccupazione, è l’incognita dei motivi che spingono paesi poveri sull’orlo del crack economico, isolati nella comunità internazionale a investire nel nucleare. “Le motivazioni che hanno spinto la Nord Corea a compiere il suo secondo test nucleare sono, come molte delle sue azioni, largamente impenetrabili. Possono rappresentare l’ultimo passo verso la meta dello stato nucleare o una pubblicità verso eventuali acquirenti internazionali. Possono servire ad alzare il prezzo che gli altri paesi devono pagare affinchè la Nord Corea receda dai suoi intenti oppure un tentativo da parte di
Kim Jong per rafforzare il suo prestigio tra i militari. Più verosimilmente, il programma nucleare della Nord Corea serve a molteplici scopi”.
Pyongyang dispone attualmente di 600 testate nucleari a corto raggio, una variazione dei missili scud, che possono raggiungere la Corea del Sud, 320 missili Nodong e tra 6 e 12 armi nucleari o per lo meno ordigni esplosivi. Gli esperti sono divisi sulla capacità tecnologica della Nord Corea, ma ogni test avvicina il momento finale”.
Ad aggravare il quadro, vi è il possesso da parte del regime comunista di armi chimiche e batteriologiche, armi escluse dai colloqui con i sei paesi incaricati di condurre le trattative (Sud Corea, Cina, Giappone, Russia, Stati Uniti e ovviamente la Corea del Nord).
Pakistan
Nei numeri precedenti del nostro lavoro, abbiamo sottolineato più volte l’altissimo numero di rifugiati, tra i due milioni e mezzo e i tre, che l’offensiva dell’esercito pakistano nel nord del paese sta provocando. Abbiamo anche espresso dubbi su questi metodi di azioni repressive basate non sulla “messa in sicura” della popolazione, ma tutta centrata sull’eliminazione del nemico. Ora si apprende che i rifugiati non sono minimamente assistiti dal governo e in pratica sono abbandonati a se stessi e all’aiuto internazionale. Il risultato è che con questi metodi si reclutano terroristi, estremisti fondamentalisti e basta. Di seguito la testimonianza di un osservatore sul campo. “Se il Pakistan e i suoi partner internazionali non vanno incontro ai bisogni dei rifugiati, lo faranno gli Jihadisti come avvenne nell’ottobre 2008 nel caso del terremoto a Quetta. Per venire a questi giorni, le organizzazioni jihdiiste stanno ottenendo il ruolo di onlus sociali offrendo cibo, ricovero, educazione e in generale aiuto e tutto in una volta sola… Non è una sorpresa che i terroristi siano così efficaci in Pakistan”. Si potrebbe concludere amaramente: come tradire tutti gli insegnamenti della guerra contro Al Qaida in Iraq!
I palestinesi devono cambiare strada
1 anno fa