lunedì 15 giugno 2009

Appunti internazionali, n° 7, 13 giugno 2009

In questo numero troviamo le reazioni al discorso di Obama al Cairo, positive, negative, nei paesi mussulman e in Occidente; la situazione in Afpak con due importanti documenti elaborati dai maggiori consulenti del generale Petraeus, Nagl e Kilcullen; una valutazione delle elezioni libanesi e di quelle iraniane, a spogli appena iniziato e una sorpresa divertente.

Pakistan Afghanistan
Dall’Afghanistan continuano a giungere notizie preoccupanti che coinvolgono anche il nostro contingente. Il generale americano Stanley McChrystal, nella sua prima intervista da quando è stato nominato comandante delle truppe in Afghanistan (ben 170.000 uomini a cui vanno aggiunti i 35.000 soldati dei paesi alleati), ha sostenuto sul Wall Street Journal del 12 giugno, che la strategia di eliminazione del nemico fin qui usata non ha funzionato. “Dobbiamo convincere il nemico, non ucciderlo. Dall’11 settembre, ho osservato come l’America abbia cercato di spegnere il fuoco con un martello, ma non funziona. Le strategie di decapitazione non funzionano”. Anch’egli, come Petraeus - adesso suo comandante d’area - e gli altri “ufficiali laureati” della campagna contro Al Qaida in Iraq, ha un curriculum di studi internazionali di tutto rispetto (qui l’intera trascrizione dell’intervista). Anche il giornalista pakistano Ahmed Rashid (autore di molti libri tradotti in italiano sui talebani e sull’Asia centrale) commentando l’offensiva dell’esercito pakistano nella Swat Valley, sostiene, dando ragione al generale McChrystal, che la lotta combattuta è per la conquista delle menti e dei cuori della popolazione che stanno subendo le durezze della guerra in modo impressionante (sembra che il numero dei profughi si aggiri adesso sui 2 milioni e mezzo, una cifra pari all’esodo dall’Uganda). Conclude notando, a ragione, come il presidente Obama “sembra che sia l’unico leader del mondo che si stia preoccupando della situazione dei profughi. Gli Stati Uniti hanno stanziato 110 milioni di dollari che si vanno ad aggiungere ai 200 già dati dall’inviato speciale della Casa Bianca, Richard Holbrooke” . Rimprovero agli altri paesi Nato fatto propria dal ministro della difesa afghano Abdul Rahim Wardak in visita a Bruxelles; si è augurato che gli europei compiano il loro dovere fino in fondo fornendo un aiuto ulteriore alla missione. “Il fardello deve essere suddiviso equamente”.
Per offrire un quadro sistematico sulla situazione nei due paesi, il report prodotto dal think thank democratico vicinissimo ad Obama Center of New American Security, “Triage: the Next Twelve Month in Afghanistan and Pakistan” . Tra gli autori anche l’ormai famoso, per lo meno per i nostri lettori, David Kilcullen. Il documento fa proprie le raccomandazioni del suo ultimo libro, “The Accidental Guerrilla”, già recensito sull’Occidentale, e propone una strategia a macchia d’olio: il primo compito delle forze alleate è garantire la sicurezza alla popolazione in alcune aree; il secondo organizzare le forze di polizia locali, il terzo legittimare le istituzioni locali. La situazione in Afghanistan, dopo otto anni è terribile, e per di più adesso la guerra ha coinvolto anche il Pakistan, vero centro di gravità del conflitto. La strategia dei talebani è semplice e chiara: sfinire la pubblica opinione sia occidentale che locale, togliere la legittimità ai governi locali e far crollare il consenso interno a quelli occidentali. Uno degli avvertimenti più forti è che le forze occidentali e i loro alleati hanno come compito la protezione della popolazione e non l’eliminazione dei talebani, quindi non sono ammissibili azioni che producono “danni collaterali”, cioè la morte di civili innocenti. “La natura della contro insorgenza non è fissa, ma mobile; evolve in risposta ai cambiamenti di forma dell’insorgenza”. E’ una brutta situazione, ma i paesi occidentali devono uscire vincitori, se Al Qaida e i talebani trionfassero sono immaginabili le conseguenze, due soprattutto: la perdita di prestigio e credibilità degli Stati Uniti e dei suoi alleati, e la creazione di aree sicure per i terroristi.
E’ per questi motive che il Center of New American Security è particolarmente attivo nell’analisi del rapporto tra terrorismo- estremismo fondamentalista-Grande Medio Oriente alla ricerca di migliori metodi per affrontarlo. Tra i ricercatori che hanno redatto questo ulteriore report, “Beyond Bullets: A Pragmatic Strategy to Combat Violent Islamist Extremism”, troviamo un altro collaboratore di Petraeus, John Nagl, co-autore del celebre “Counterinsurgency Field Manual”, la nuova Bibbia dell’esercito americano che ha passato la prova dell’Iraq. L’ex colonello è anche autore di un bel libro intitolato “Learning a Soup with a Knife” che riprende la metafora utilizzata da Lawrence d’Arabia per descrivere il lavoro di Sifiso nella guerra asimmetrica. Il report disegna una complessa strategia per affrontare il “terrorismo catastrofico”, definito “un remoto ma grave rischio” (definizione equilibrata, ndr), e sostiene che “devono essere riconosciute la varietà di motivazioni e interessi che distinguono i gruppi estremisti violenti, come i filoni ideologici e organizzativi da loro intessuti. Il governo americano e le forze armate non possono e non dovrebbero essere al centro di ogni sforzo per combattere l’estremismo violento.”
AlJazera ha affermato che la CIA ritiene che Bin Laden sia ancora vivo e che si nasconda in Pakistan.

Commenti e reazioni al discorso di Obama al Cairo.
Continuano le riflessioni sulle parole pronunciate dal presidente americano nella capitale egiziana. Le annotazioni si possono dividere grosso modo in due gruppi: quelle che si concentrano sull’aspetto teorico e quelle invece che si soffermano sulla nuova strategia disegnata per il Grande Medio Oriente. Al primo gruppo appartiene questo durissimo commento di Charles Krauthammer . Dopo aver contestato a Obama le deboli affermazioni sull’Iran, sulla tolleranza religiosa facendo confronti insensati tra mondo mussulmano e occidente, e uguaglianza delle donne, conclude: “Distorcere la storia non è dire la verità ma dire dolci bugie. Creare false equivalenze non è morale, ma abdicazione morale. E soprattutto, librarsi nell’aria sopra tutto (riferimento a Dio nella Genesi, ndr.) non è un segno di trascendenza, ma di un ambivalenza disturbata verso il proprio paese”.
Per il versante arabo dei commenti al discorso di Obama, si può leggere il sito Jihadica, in inglese, interamente dedicato all’analisi dei blog estremisti. E’ frutto di un ricercatore Thomas Hegghammer che compie un lavoro superbo monitorando i siti arabi inneggianti alla guerra santa. “Per cominciare, non dobbiamo aspettarci di vedere nessuna reazione positive all’iniziativa di Obama…In secondo luogo non vi è nessuna tradizione tra gli strateghi jihadisti di analizzare logicamente i discorsi presidenziali. Possono attaccarsi ad una singola parola (come il riferimento di Bush alle “Crociate”) e usarlo per i propri scopi. Ma generalmente questi ragazzi non ascoltano cosa l’America dice, ma osservano cosa fa.” Qui un’altra lista di commenti tratti dalla stampa e media arabi: oltre il rifiuto, c’è che definisce la nuova politica di Obama verso il mondo arabo come soft e capace di far leva su corde emotive ed empatiche. World Politics Review conclude che “Quello che sembra chiaro è che lo sforzo del presidente Obama gli ha guadagnato un consenso sulla buona volontà tra le persone che ha cercato di convincere. Potrebbe essere sfruttato se sarà seguito da specifiche iniziative politiche con particolare riferimento al conflitto israelo palestinese”.
Senz’altro uno dei commenti più interessanti, per la fonte che parla, è quello che proviene dal capo dell’ufficio politico di Hamas, Khaled Meshall che ha sostenuto che “il discorso era scritto in modo intelligente (sic!) e ben indirizzato al mondo mussulmano, ma penso che non sia abbastanza. Ciò di cui abbiamo bisogno sono fatti, azioni sul terreno e un cambiamento di politica”.
Obama al Cairo ha tenuto inoltre un’importante conferenza stampa con i giornalisti locali dove ha specificato meglio il suo punto di vista. L’attenzione questa volta, più che sulla retorica usata e sugli esempi storici più o meno felici,si è concentrata sugli aspetti strategici. La prima domanda è stata infatti sulla decisa, e unica , proposta concreta riguardo a Israele e i palestinesi: il netto rifiuto della nuova amministrazione americana al riconoscimento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. La scelta dell’obiettivo non è stata casuale; permette agli Stati Uniti di criticare Israele su di un punto, trovando del consenso nell’opinione pubblica israeliana senza mettere in discussione la sua politica di sicurezza.

Libano
Intanto arriva un’importante notizia, come ormai sappiamo, dal Libano dove il fronte antisiriano al governo ha vinto le elezioni, anche se uno sguardo più attento ai dati ci dice che la vittoria è avvenuta nel conto dei seggi, ma per numero di voti hezbollah ed i suo alleati hanno ottenuto la maggioranza dei voti, il 50,4% contro il 46% dei partiti al potere! Da qui le contestazioni del partito scita Amal. E’ un successo storico anche grazie allo straordinario sforzo economico e politico dei paesi sunniti, in primo luogo dell’Arabia Saudita, e degli Stati Uniti. Il 22 maggio il vice presidente Biden ha infatti visitato Beirut avvertendo che vi sarebbero state gravi ripercussioni se hezbollah avevve prrevalso. Si delinea così la strategia di Obama: neutralizzare il conflitto palestinese iniziando dal contorno, Siria e Libano per poi arrivare ai nodi centrali. Si ricorda che il governo americano ha appena rinnovato le sanzioni contro la Siria.
Il Libano si conferma essere un’eccezione democratica e pluralista, la più avanzata, nonostante tutto dei paesi arabi. In queste elezioni, il marketing politico ha fatto passi da gigante, fino a coinvolgere i nuovi media: internet, blog, e mail e sms sono stati usati a tutto spiano.

Iran
Ieri si sono tenute le elezioni in Iran. L’esito sembra scontato nella teocrazia dove il controllo politico è saldamente in mano all’autorità religiosa, ma comunque anche sotto la cenere qualcosa cova. Ahmanidejad è il favorito anche se lo sfidante sembra godere dell’appoggio di una gran parte del ceto medio e degli abitanti delle città. Il dato di fatto certo è che il potere del presidente è assolutamente limitato alle “relazioni esterne”, all’educazione, all’economia e poco altro. Il reale potere è tenuto dal leader spirituale o rahbar; titolo appartenuto all’Ayatollah Khomeini fino al 1989, anno della sua morte, e poi a Alì Hoseyni Khamenei; è lui che detiene il reale potere dalla politica estera, alla difesa, alla giustizia, all’esecutivo.
Intanto il mondo si chiede che cosa cambierà nella corsa verso il nucleare. John Bolton, analista dell’American Enterprise Institute, in un articolo tradotto sull’Occidentale, si interroga sulle possibilità che Israele possa attaccare Tehran se continua nel suo progetto, come già fece nel 1981 distruggendo il reattore nucleare iracheno di Osirak e nel 2007 quando bombardò un secondo reattore siriano costruito dai nord coreani. Le eventuali risposte iraniane potrebbero essere: la chiusura dello stretto di Hormuz, il taglio delle esportazioni di petrolio con il conseguente innalzamento dei prezzi sul mercato mondiale, un attacco alle forze americane in Iraq, un aumento al supporto del terrorismo internazionale, una rappresaglia missilistica su Israele, dare il via libera agli attacchi verso Israele di Hamas e Hezbollah.
Emanuele Ottolenghi, collaboratore anche del Foglio, direttore dell’ Transatlantic Institute di Bruxelles e autore del libro” Under a Mushroom Cloud: Europe, Iran and the Bomb (Profile Books, February 2009)”, ha scritto un lungo pezzo su The Australian su come l’occidente si deve rapportare ad un Iran nucleare. Già il titolo “Una nuova Yalta” rende bene l’idea. In un articolo pieno di dubbi, riconoscendo la razionalità degli iraniani ma anche la loro vocazione a espandere la rivoluzione scita e il loro potere nell’area, si sofferma sulla difficoltà di raggiungere un accordo con un eventuale Iran nucleare, notando le enormi differenze con la situazione della guerra fredda, quando le due super potenze ben si conoscevano e avevano attivato una molteplicità di canali di comunicazione ufficiali e non. Anche quindi una nuova Yalta e una relativa spartizione dell’area in zone d’influenza, non riparerebbe il mondo da un eventuale guerra nucleare.
Nel frattempo, continua la corsa iraniana verso il nucleare. La Reuters riporta che Iran e Nord Corea collaboreranno per lo sviluppo di un missile balistico.

Cartoon
Per finire, grazie alla segnalazione di Costantino Pistilli, due cartoni animati in arabo con sottotitoli in inglese su due terroristi stupidotti che non riescono a compicciare niente di buono. Buon esempio di contro propaganda creato da due ragazzi israeliani!

1 commento:

  1. Non credo che quel cartone sia in arabo, quanto piuttosto in una lingua inventata

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