Agli inizi di febbraio è uscita la Quadriennal Defense Review 2010, la prima della nuova amministrazione Obama, documento elaborato dal Ministero della difesa americano che fissa le linee strategiche per gli anni a venire. Assieme ad altri due documenti relativi alla politica estera (annunciato per la prima volta nel 2009 sotto la direzione di Hillary Clinton) e alla sicurezza interna costituisce il nucleo centrale di riferimento per orientarsi nel mare magnum dell'amministrazione statunitense riguardo al vasto mondo della difesa per sapere la definizione delle priorità, degli obiettivi e delle prospettive. I lettori italiani sono a conoscenza dell'esistenza di queste linee sicuramente da quel fatidico 11 settembre 2001, ma il primo report fu del 1997. Washington allora valutò che, con la fine della guerra fredda e la scomparsa di un avversario noto che fissava in modo non ambiguo l'agenda delle minacce, il mondo era diventato sempre più instabile e urgente era il bisogno di fare il punto regolarmente su quali fossero gli emergenti pericoli con l'indicazione delle contro misure necessarie ad affrontarli. Non si capisce la necessità di un documento di questo genere, se non si tiene presente che le forze armate per cambiare mentalità e adattarsi a nuovi compiti hanno bisogno di anni; inoltre bisogna considerare la mentalità pianificatoria americana e i freni messi dal pachiderma burocratico statunitense, con linee di resistenza ad ogni innovazione che superano l'inimmaginabile. Si pensi, per fare un esempio sotto gli occhi di tutti, cosa significhi passare da un esercito pronto ad affrontare i sovietici con armi nucleari, e magari scontrandosi con migliaia di carri armati nelle pianure dell'Europa centrale, a delle forze armate che devono vedersela con una moltitudine di nemici vaghi e confusi come i pirati somali, le guerre in Afghanistan e Iraq, la minaccia nucleare iraniana, le emergenze umanitarie disastrose come quella di Haiti, gli attacchi dal cyberspazio senza per altro sguarnire la forza tradizionale, dalla marina che deve sempre assicurare la libertà di navigazione mondiale o all'esercito che deve poter rispondere alle sfide di un nemico tradizionale come, eventualmente, la Cina. Se si considerano tutti questi elementi, a cui vanno aggiunti i tempi tecnici di messa in opera di sistemi d'arma nuovi, si capisce l'orizzonte temporale ventennale della validità di un simile documento.
Il passo successivo alla fissazione degli obiettivi è ovviamente quello delle allocazione delle risorse, compito ingrato su cui si assommano tutte le tensioni tra fautori di una strategia piuttosto che dell'altra, anche perché le missioni operative all'estero in teatri distanti migliaia di chilometri da casa costa un mucchio di soldi e in un periodo di crisi le discussioni sul bilancio sono all'ordine del giorno. Se si includono le spese per finanziare le guerre afghane irachene, dal 2001 le spese del Pentagono rispetto agli anni precedenti sono salite infatti del 70%! E per il prossimo anno è invece previsto un incremento di un misero 0,2% (dato indicizzato all'inflazione) per un totale di 708 miliardi di dollari. Questo significa che le spese militari nel 2011 saranno il 13% più alte di quelle durante la Guerra di Corea, il 33% più alte di quelle del Vietnam, il 23% di quelle durante l'era Reagan, il 64% in più di quelle durante la Guerra fredda e del 15% di quelle post caduta del muro (tutti questi dati sono reperibili da un documento ben fatto del Center for a New American Security).
Nel documento non ci sono grandi novità rispetto al passato, ma uno di punti più interessanti è senz'altro quello relativo alle small wars, alle guerre di insorgenza e contro insorgenza. Fino all'11 settembre, il Pentagono era pronto sostenere contemporaneamente "2+1", cioè due conflitti maggiori e uno secondario. Da quel giorno, molte cose sono cambiate, e la formula è stata riaggiustata: stante gli effetti della globalizzazione, la frammentazione del mondo legata alla sua interdipendenza, l'urbanizzazione crescente, la supremazia tecnologica e militare degli Sati Uniti accompagnata da un relativo declino economico, fanno sì che non ci siano competitor in grado di sfidare Washington sullo stesso piano, mentre sempre più probabili sono conflitti asimmetrici magari non della stessa forza di quello afghano e iracheno.
Per una rassegna critica delle posizioni, Defense News,Center for Strategic and International Studies, The Heritage Foundation,
The Center for Strategic and Budgetary Assessments.
Afghanistan
Da segnalare l'ottimo aggiornamento a cura dell' Institute for the Study of War sulla battaglia che è iniziata in Afghanistan intorno alla città di Marjah. L' operazione Moshtarak ("assieme") è la prima offensiva su larga scala portata avanti dagli Stati Uniti, dalle truppe della coalizione e dalle forze afghane ed ha come obiettivo la riconquista della città nella provincia di Helmand tenuta dai talebani e diventata un importante centro di produzione e commercio dell'oppio.
Ecco l'indicazione di un blog di un corrispondente free lance dall'Afghanistan. E' a cura di un ex berretto verde e tra le altre notizie, tra cui un reportage sulle basi americane e sulle difficoltà logistiche della guerra in Afghanistan, ci sono delle belle fotografie.
Segnaliamo un'interessante recensione ad un promettente libro
"The Insurgent Archipelago" dell'inglese Johm Mackinley; l'autore ha due enormi vantaggi, è inglese, non americano – come Kilkullen e Rupert Smith due che hanno scritto i migliori ultimi libri sull'argomento – e ha un'esperienza ventennale sul campo nelle operazioni di contro insurrezione iniziata nel Borneo comandante di un gruppo di Gurka. Il pregio maggiore, ad una scorsa rapidissima, è l'analisi dei nuovi tipi di insorgenza, globale e ispirata da motivi religiosi, e le contro misure da prendere, prima tra tutte la battaglia delle idee.
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