“Quando si guarda Firenze dall’alto di San Miniato, nella cornice dei suoi colli, attraversata dall’Arno come da una linfa vitale; quando l’anima si colma dell’arte delle sue gallerie, dei suoi palazzi e delle sue chiese; quando nel pomeriggio si va attraverso le viti, gli olivi, e i cipressi dei suoi colli, dove ogni strada, ogni villa e ogni campo è saturo di cultura e passato, e una parte dello spirito circonda questa terra come un corpo astrale – sentiamo allora come se l’opposizione di natura e spirito qui si fosse annulata (..) E’ una terra che ad ogni passo si incontra con la natura (…) bisogna rifarsi a quest’ultimo tratto della vita fiorentina per comprendere come Benedetto Gozzoli e altri rappresentassero questo paesaggio come un giardino: le sue aiuole, le sue siepi, le file ordinate degli alberi. Essi non potevano rappresentare diversamente la natura che come formata dallo spirito. E venendo così a risolversi il distacco tra natura e spirito, nasce l’impressione estetica, il senso di essere di fronte ad un’opera d’arte. Non c’è forse altra città di cui l’impressione, l’immagine, i ricordi, la natura e la cultura producano così fortemente l’idea dell’opera d’arte, fin negli aspetti più esteriori: anche i monti nudi dietro a Fiesole, che non portano i segni dell’opera dell’uomo, come i colli vicini, sembrano la cornice di un quadro dello spirito e della cultura, e non possono essere colti al di fuori di questo insieme. Essi definiscono l’immagine di un organismo in sé completo e sufficiente” trovato in Paolo Sica, "Fiordaliso addio", Maria Pacini Fazzi editore, 2000, Lucca.
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